«Il terreno su cui presumiamo si fondino le nostre prospettive di vita è evidentemente malfermo, proprio come lo sono i lavori che ci troviamo a fare e le aziende che ce li offrono, i nostri partner e la rete delle nostre amicizie, la posizione di cui godiamo nella più estesa società e l’autostima e la fiducia nelle nostre capacità che ne derivano. Il “progresso”, un tempo manifestazione estrema di ottimismo radicale e promessa di una duratura e universalmente condivisa felicità, è finito agli antipodi, ove si fanno spaventose e fatalistiche previsioni, e ora rappresenta la minaccia di un inesorabile, inevitabile mutamento, che non promette né pace né riposo ma crisi e tensioni continue, senza un attimo di tregua; una specie di “gioco delle sedie”, in cui un attimo di distrazione porterà a una sconfitta irrevocabile, a un’esclusione senza appello. Invece che grandi aspettative e dolci sogni, la parola progresso evoca un’insonnia colma di incubi: “essere lasciati indietro”, perdere il treno, venire scaraventati fuori dal veicolo per una brusca accelerazione. Incapaci di rallentare lo stupefacente ritmo del mutamento, e – a maggior ragione – di prevederne e controllarne la direzione, ci concentrami su ciò che possiamo, o crediamo di potere, o siamo certi di poter influenzare: proviamo a calcolare e ridurre al minimo il rischio che noi personalmente, o coloro che in questo momento ci sono più vicini e più cari, si possa diventar vittime degli innumerevoli, indefiniti pericoli che l’opacità del mondo e il suo incerto avvenire hanno in serbo per noi.» [Zygmunt Bauman]