Sarebbe fin troppo facile ripetere, per l’ennesima volta, che l’apparenza inganna. È nella malcerta dimensione dell’apparenza,
Sarebbe fin troppo facile ripetere, per l’ennesima volta, che l’apparenza inganna. È nella malcerta dimensione dell’apparenza, infatti, che l’architettura è chiamata a operare, a realizzarsi. La sua realtà è la “rappresentazione” che essa dà di se stessa; dove realtà non corrisponde mai – o quasi mai – a verità. La verità – come la natura, secondo Eraclito – ama nascondersi.
Un altro frammento di Eraclito contiene un’obiezione fondamentale alla dimensione dell’apparenza: «L’armonia nascosta è più forte di quella manifesta». La superiorità di ciò ch’è nascosto su ciò ch’è manifesto corrisponde, nella visione eraclitea, alla superiorità dello Theós invisibile rispetto alla corporeità illusoria del mondo visibile.
Più tardi Platone traduce la superiorità dell’invisibile in un sacro rispetto per l’indicibile, o meglio, per il non scrivibile: «Quando si legge lo scritto di qualcuno – scrive nella Settima Lettera -, se l’autore è davvero un uomo, le cose scritte non sono per lui le cose più importanti, perché queste egli le serba riposte nella parte più bella che ha; mentre, se egli mette per iscritto proprio quello che ritiene il suo pensiero più profondo, “allora, sicuramente”, non certo gli dei, ma i mortali, “gli hanno tolto il senno”».
La consegna del silenzio in ordine all’autentica armonia è mantenuta ancora, secoli dopo, da Andrea Palladio: nell’esporre in un frammento manoscritto la dottrina pitagorico-platonica dei medi proporzionali egli li denomina esplicitamente medio “aritmetico”, “geometrico”, “armonico”, mentre nella versione dei Quattro Libri dell’Architettura data alle stampe li chiama semplicemente primo, secondo e terzo “modo”. Tale variazione, apparentemente incomprensibile, non risulta spiegabile altrimenti che con la volontà, da parte di Palladio, di non palesare i “secreti dell’Arte”: la comprensione dei quali è riservata esclusivamente agli “intendenti”, a quelli «che erano in tale arte istruiti», come scrive Giangiorgio Trissino riguardo al testo di Vitruvio.
Se l’armonia “secreta” per Palladio non dev’essere spiegata, ciò nondimeno essa può essere manifestata. Così si legge nel secondo Libro: «Io porrò alcuni disegni e dirò le lor misure, da’ quali potrà ciascuno facilmente, secondo che se gli offerirà l’occasione, esercitando l’acurezza del suo ingegno, pigliar partito e far opera degna di essere lodata». Per chi sappia osservarla e decodificarla, l’apparenza si rivela l’unica e la vera depositaria della misteriosa claritas delle proporzioni.
Raramente, oggi, l’apparenza dell’architettura si fa portatrice e custode di saperi esoterici: più facilmente, di regole compositive, di precetti canonici, o di soggettive invenzioni. Ma è in ogni caso sempre nella dimensione della manifestazione che si gioca la sua partita. Ed è precisamente in tale dimensione sempre più proliferante che sembra identificarsi oggi l’architettura: architettura “appariscente”, ovvero architettura “solo apparente”. Fino al punto da far sorgere il sospetto – e ancora di più, da infondere la certezza – che la dimensione dell’apparenza, oggi, equivalga alla manifestazione di un vuoto, di una non-esistenza: architettura solo in apparenza.
E tuttavia – ancora una volta, e ancora di più – per chi sappia osservarla e decodificarla, l’apparenza “contiene” qualcosa. È nell’apparenza infatti che trovano rifugio, oggi, «le cose più importanti» (come ben sapeva Hofmannsthal allorché scriveva: «La profondità va nascosta. Dove? In superficie»). Anche se ciò dovesse rivelare quanto la realtà – e l’architettura – attuali abbiano ormai poco a che fare con l'”armonia”, manifesta o nascosta che sia. Ma sempre e solo in apparenza.
Marco Biraghi
Marco Biraghi