«Il lavoro proprio dello storico della filosofia è lo stabilimento di rapporti tra idee, teorie, visioni d’insieme e situazioni reali: fra parole scritte, o testimonianze di discorsi orali di ‘filosofi’, e realtà di uomini operosi in condizioni reali. Lo storico sceglie e collega; intesse la storia là dove ha trovato serie e complessi di eventi e dati. L’accertamento dei dati, i documenti – che in questo caso sono, innanzi tutto, parole e scritti – è essenziale: la filologia, come suol dirsi con un termine spesso volutamente reso oscuro ed equivoco, è primaria. Solo che filologia non significa affatto mero stabilimento di testi, o raccolta di dati: significa fedeltà, e rispetto costante di ogni individuazione concreta, di ogni situazione reale entro il complesso dell’atto storiografico. V’ha chi, con singolare ottusità, parla di una storia filologica come di una non ben identificata opera ‘manuale’ che provvederebbe ad offrire i testi “critici” definitivi dei filosofi, corredati di “documenti” e notizie, in modo che poi il filosofo “speculativo” possa elaborare i dati in base a qualche sua più o meno illuminante metafisica. Ma i documenti sono muti a chi non sa quali domande rivolgere (anzi non esistono addirittura); e trovare le notizie può chi sa cosa e dove cercare; i testi non solo non si costruiscono, ma neppure si leggono, senza la continua solidarietà di intelligenza critica (ossia “teorica”) e di perizia “filologica”. La storia è sempre al punto di questa convergenza di “filosofia” e “filologia”». [Eugenio Garin]