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L’ultima in ordine di tempo è quella progettata da Carlo Ratti e Walter Nicolino come edificio-simbolo per le Olimpiadi di Londra del 2012 (memoria più o meno volontaria dell’Instant City di Archigram). Ma in realtà la proliferazione di “nuvole” è un fenomeno ben più rilevante, che ha raggiunto un punto tale da rendere queste ultime una presenza costante (quando non addirittura ingombrante e perturbante) sull’orizzonte architettonico contemporaneo.
Le prime avvisaglie di qualcosa che avesse a che vedere con esse si erano avute intorno alla metà degli anni venti tra la Russia e la Svizzera: Der Wolkenbügel (la Staffa delle nuvole) di El Lissitsky e Emil Roth, progetto di grattacieli orizzontali sostenuti da immense strutture verticali, immediatamente ripreso dall’architetto olandese Mart Stam in una variante con sostegni inclinati. Tuttavia in questo caso (come in quello dei “grattanuvole”, primitiva versione italiana degli skyscrapers americani) si trattava di strutture che si limitavano soltanto a “indicare” – sfiorandone appena le parti più basse – la presenza delle formazioni nuvolose sopra il cielo delle città.
La vera e propria esplosione della più ampia varietà di cumuli, altocumuli, strati, nembostrati, cirri e cirrocumuli architettonici è avvenuta a partire dalla fine del XX secolo. Dalla nuvola prigioniera all’interno del Centro Congressi Italia all’Eur di Massimiliano Fuksas a quella liberamente fluttuante autogenerata dal Blur Building allo Swiss Expo 2002 di Elisabeth Diller e Ricardo Scofidio (per limitarsi a due soli esemplari di una fenomenologia molto più vasta), l’architettura contemporanea sembra preda dell’ansia di catturare l’impermanenza del tempo: tempo meteorologico, non cronologico.
Se le nuvole rappresentano l’emblema – nonché sono la (s)materializzazione concreta – dell’assenza di peso, della mancanza di radicamento e della mutevolezza continua, quasi istantanea, allora le nuvole architettoniche, dietro la maschera ipertecnologica che indossano, rivelano la tensione ad adempiere a pulsioni umane antichissime.
MB