di Silvia Micheli
La forza architettonica della stazione di Milano Centrale sta tutta nella «grande tettoia di ferro e di vetro che, ancora adesso, fa sentire la tensione del viaggio. Capisci che l’avventura comincia nell’arco di luce che si vede verso il fondo, dove i treni diventano una linea che va verso il mondo». Con queste poche righe pubblicate su «Il Fatto Quotidiano» del 27 gennaio 2010, Furio Colombo individua lucidamente la potenza significante che informa il complesso ferroviario del capoluogo lombardo, capolavoro tecnologico e simbolo del progresso della Milano d’inizio novecento, imponente porta d’accesso alla città e rappresentazione trionfale della straordinarietà del momento della “partenza”. Rispetto alla forza espressiva e simbolica delle maestose volte della stazione Centrale, emergono tutte le debolezze del recente intervento di riqualificazione in essa attuato, inaugurato il 13 dicembre 2008 ma ancora in fase di completamento. Disegnato da Marco Tamino, il nuovo progetto non mira all’aggiornamento funzionale della stazione, ma si pone come obiettivo primario la riconversione della stessa in “centro commerciale” per ammortizzare i costi gestionali della società.
Le nuove trasformazioni che riguardano la stazione Centrale di Milano si inseriscono nel più ampio progetto “Grandi stazioni”, promosso a partire dal 1998 dall’omonima società del gruppo Ferrovie dello Stato, la Grandi Stazioni S.p.A, il cui intento è di “rivalutare” le stazioni anche in vista del completamento della rete Alta Velocità. Le strutture coinvolte sono i tredici maggiori complessi ferroviari italiani quali, oltre a Milano Centrale, Bari Centrale, Bologna Centrale, Firenze S. Maria Novella, Genova Brignole, Genova Piazza Principe, Napoli Centrale, Palermo Centrale, Roma Termini, Torino Porta Nuova,Venezia Mestre, Venezia S. Lucia e Verona Porta Nuova. Esse appartengono a quel ricco quanto eterogeneo patrimonio edilizio di proprietà delle Ferrovie dello Stato (FS) costruito durante il corso XX secolo: ogni stazione è un documento tridimensionale di un preciso periodo storico nazionale. Si pensi ad esempio alla Stazione di Santa Maria Novella, disegnata da Giovanni Michelucci con il Gruppo Toscano, tra i capolavori dell’architettura moderna italiana, assai distante, per dimensioni e linguaggio, dall’austera stazione di Milano Centrale, caratterizzata più marcatamente da uno stile di gusto fascista a stampo propagandistico. Diversamente la stazione di Roma Termini, edificata dopo la fine della seconda guerra mondiale, attraverso la libertà compositiva e l’ardire strutturale della copertura della hall, testimonia invece dell’Italia della ripresa economica.
I progetti elaborati da Tamino per “Grandi Stazioni” si basano su un unico concept ad alto grado di flessibilità, da “adattare” nelle tredici stazioni coinvolte nel progetto di riqualificazione “Grandi stazioni”, di cui vengono ignorate programmaticamente le sostanziali differenze architettoniche. Il viaggiatore che velocemente schiva la folla per non perdere il treno, si trova a transitare in ambienti omologati da medesimi supporti per l’illuminazione in acciaio satinato, piuttosto che da pannelli monocromi della segnaletica, che non interpretano, né esaltano, il carattere architettonico intrinseco di ciascun edificio. Tale strategia di intervento è caratterizzata da un approccio spiccatamente gestionale, laddove lo scopo primario è di mantenere per quanto possibile inalterate le strutture architettoniche, attraverso opere di restauro concordate con la sovrintendenza locale (sic!), e di ripensare il sistema dei servizi, del commercio e della distribuzione dei flussi dell’utenza in relazione agli spazi già esistenti. Il progetto di riqualificazione elaborato da Tamino per Milano Centrale altro non è che una mediocre “variazione sul tema” del concept generale e contiene soluzioni non dissimili da quelle elaborate per le stazioni di Roma Termini e Venezia S. Lucia, ad esempio. Il sito web ufficiale di Grandi Stazioni riporta che «gli interventi non comporteranno un impatto visivo rilevante nel complesso edilizio né alterazioni significative allo stato di fatto» (www.grandistazioni.it). I termini utilizzati nelle numerose relazioni di presentazione del progetto, come «restyling», «riqualificazione», «valorizzazione», alludono a un intervento di carattere superficiale, posticcio, provvisorio.
Nella stazione di Milano Centrale, come negli altri casi sopra citati, il piano di “restyling” riguarda il rinnovamento degli impianti di illuminazione e della segnaletica, l’individuazione di nuovi spazi per la biglietteria, la costruzione di gallerie e mezzanini destinati alle attività commerciali e l’istallazione di pannelli pubblicitari. Nello specifico, si è pensato di sfruttare i piani interrati per disporre di più spazio per la vendita. Varcato il monumentale portico di ingresso al complesso ferroviario, il viaggiatore giunge nella sontuosa hall. In origine questo luogo ospitava la biglietteria, dalla quale si salivano le imponenti scalinate per giungere alla galleria di testa. Ora gli sportelli per la vendita dei biglietti sono stati sostituiti da vetrine per negozi, che a fine lavori ammonteranno a 108 unità dislocate in tutto l’edificio (per offrire un ordine di riferimento, si rammenta che il centro commerciale più grande e più frequentato d’Italia, l’Orio Center di Bergamo, ne ospita 200). Conseguentemente la biglietteria è stata retrocessa in quelli che erano i sotterranei della stazione (gli ex magazzini), un luogo illuminato e areato artificialmente. Per raggiungerla è necessario compiere un percorso commerciale obbligato, che “giustifica” il suo illogico distanziamento rispetto alla hall d’ingresso. Acquistato il biglietto, si evince che il percorso per raggiungere i binari è impervio. Lunghi tapis roulant colmano il dislivello tra il piano interrato della biglietteria e l’ormai tanto anelato piano dei binari, attraverso enormi fori ovali ricavati nel piano di calpestio della galleria di testa, dove sono stati allestiti dei mezzanini per la collocazione di attività commerciali e di ristoro.
Alcuni dei disagi provocati dal nuovo intervento di “restyling” sono stati ampiamente documentati negli articoli pubblicati da Andrea Galli sulle pagine web del «Corriere della sera» il 13 e il 16 gennaio 2010. Tra le innumerevoli «criticità» che Galli ha individuato, vi sono il senso di disorientamento provocato dalla tortuosa organizzazione dei percorsi, la lentezza dei tapis roulant, l’acqua fredda nei bagni a pagamento, la segnaletica insufficiente, le biglietterie automatiche spesso fuori uso, la mancanza di sedute per l’attesa, le difficoltà di spostamento per i disabili e l’inconveniente di non riuscire a timbrare il biglietto, visto che manca l’inchiostro a circa il 50% delle obliteratrici.
Ma c’è di più. In origine la biglietteria era suddivisa in vendita di biglietti giornalieri “su tratta nazionale”, “su tratte internazionali” e “sportelli per le prenotazioni”: conseguentemente il flusso di viaggiatori si divideva spontaneamente in questi tre settori. Ora invece la biglietteria è stata organizzata in un unico e caotico spazio, dove la coda interminabile costringe il più delle volte ad affidarsi alle sconquassate biglietterie automatiche. Inoltre durante l’attesa il passeggero viene frastornato dall’alto tasso di inquinamento visivo e acustico causato dalla massiccia presenza di pubblicità cartacea e virtuale che invade letteralmente lo spazio: schermi al plasma posizionati nei luoghi di attesa ripetono senza sosta gli stessi messaggi promozionali, interferendo con le comunicazioni di servizio ai passeggeri. Un altro punto di debolezza del progetto si manifesta nella mancata integrazione dei percorsi interni della stazione con il tessuto urbano attiguo all’edificio. Merita un accenno anche la paradossale assenza di orologi, elemento irrinunciabile durante “il viaggio”: all’interno della stazione sono stati nella maggior parte eliminati, e dove presenti, sono poco visibili per evitare che l’acquirente si affretti al treno. La stessa sorte è toccata alla sala d’attesa, in origine una sontuosa sala arredata con sedute in legno massello decorate. Ora il viaggiatore è invitato a sostare nelle boutique che costellano la stazione, anche a causa della paradossale strategia di non indicare i binari del treno fino a poco prima della partenza. Questi ultimi accorgimenti, in apparenza bizzarri ma nella realtà programmatici, stanno avviando la stazione alla sua definitiva conversione in centro commerciale, attraverso un parziale quanto “strategico” cambio di destinazione d’uso – nelle surreali intenzioni di Grandi Stazioni S.p.A, la stazione potrebbe addirittura diventare una «piazza», una «agora».
Rispetto a questo difettoso intervento di “riqualificazione”, l’edifico di Ulisse Stacchini, completato nel lontano 1931 dopo anni di discussione sul progetto, compie una straordinaria opera di “resistenza architettonica”. Il monumentale portico di ingresso rivestito in lastre di marmo, la grande hall e le eleganti volte in ferro e vetro, che riparano i binari e al contempo danno loro luce, minimizzano il potere ipnotico del nuovo intervento e permettono alla stazione di continuare a onorare dignitosamente il suo ruolo in relazione agli utenti e alla città che la ospita: quello di essere un simbolo rappresentativo di quell’esperienza straordinaria che è il “viaggio”. Della medesima potenza architettonica è pervasa la stazione di Roma Termini, anch’essa “aggredita” dal progetto di Tamino ma salva grazie al suo carattere monumentale definito dalla scala architettonica del progetto e all’onestà costruttiva della grande copertura ondulata in calcestruzzo armato che, protendendosi verso la città, indebolisce l’effetto di “distrazione” delle incolte superfetazioni di nuova costruzione. Più fragile si rivela invece la stazione di Venezia S. Lucia, il cui fascino è determinato dal delicato equilibrio delle grandi vetrate che, sin dai binari, permettono di intravedere il Canal Grande animato dalle sue gondole e vaporetti. Se fra le due superfici traslucide verranno frapposte strutture per attività commerciali, come si può intuire dagli ambigui rendering di progetto, la scenografia architettonica verrà definitivamente compromessa.
Milano, 2 febbraio 2010
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Marco Tamino (Pesaro 1945) si laurea in architettura a Firenze.
Nel 1973 fonda a Pesaro lo studio Tamino-Gaudenzi e associati insieme all’architetto Marco Gaudenzi, con cui sarà in collaborazione fino al 1999.
Ricercatore presso la facoltà di architettura di Firenze, dove insegna “Composizione architettonica e urbana”, è partner della società Ingenium Real Estate Spa [www.ingeniumre.net], di cui attualmente ricopre la carica di Presidente, oltre a essere responsabile del settore progettazione, project management e construction management.
Nel 1998 ha collaborato alla stesura del Piano territoriale di Coordinamento della Provincia di Pesaro Urbino.
Dal 1997 al 2003 è responsabile della progettazione architettonica per la riqualificazione delle 13 principali stazioni ferroviarie italiane per conto di Grandi Stazioni S.p.A., società del Gruppo FS.
Nel 2003 è stato membro della giuria al concorso per la nuova stazione TAV di Firenze (vincitore Norman Foster & Partners).
Tra i suoi progetti si ricordano anche l’Alexander Museum Palace Hotel [Pesaro, 2009; con Paolo Marconi]; il Teatro Era [Pontedera (PI), 1994-2008; con Marco Gaudenzi] e il Teatro della Sapporo University [Sapporo, Giappone; con Marco Gaudenzi].
Enrico Arosio, sulle pagine de “L’Espresso” del 7 novembre 2002, ha scritto che Tamino “è pure l’architetto dell’ultimo congresso Ds a Pesaro, quando Piero Fassino si scontrò col correntone di Berlinguer. L’architetto Tamino, di area diessina ma senza tessera, farà parlar di sé per forza”.