«La città è un divenire continuo. Conduce una vita propria. Noi dobbiamo riconoscere la sua dinamica e trovare nuove possibilità all’interno di questo territorio. Questo ci esenta dall’obbligo di progettare la città e ci costringe, allo stesso tempo, a ripensarne il modello. Il sociologo berlinese Georg Simmel già negli anni Venti vedeva la metropoli: “come una di quelle grandi creazioni storiche, nelle quali le opposte correnti che abbracciano la vita si ritrovano e si sviluppano con uguale ragione. Avendo attecchito tali forze alla radice come alla sommità dell’intera vita storica alla quale apparteniamo nell’esistenza fuggevole di una cellula, il nostro compito non è accusare o assolvere, ma solo capire”. Nella storia della città, l’urbanistica è stata molto di più il risultato di un processo che ha generato civilizzazione piuttosto che un prodotto frutto di una progettazione. Solo nella modernità si era prodotta l’illusione dell’assoluto controllo e della pianificabilità di ogni dettaglio dell’esistenza. Oggi, però, ciò che riguarda la città è più instabile che mai. Mentre prima le forze dominanti dello sviluppo urbano duravano spesso secoli, dal XIX secolo si sono avvicendate in una successione sempre più rapida. Nello stesso tempo si sono moltiplicati gli influssi. Oggi le città sono sottoposte a fattori non solo locali e regionali ma anche globali. A causa della riduzione dei costi di trasporto, della creazione di reti di comunicazione mondiali e di mercati per merci, lavoro e capitali finanziari, le forme di organizzazione legate al luogo lasciano sempre più il passo a contesti che sono in grado di gettare un ponte tra realtà spaziali molto diverse. Le scelte possono ripercuotersi immediatamente e simultaneamente su una molteplicità di luoghi. Attraverso questa de-localizzazione dei sistemi sociali – dai sociologi definita talvolta come “isolamento” – si sovrappongono nello spazio reale una molteplicità di influenze, che, in parte, come da sempre, sono in relazione con il luogo e in parte derivano da fonti remote. Agli usi preesistenti si susseguono in cicli diversi altri programmi, mentre le attività primarie sono in decadenza o vengono trasformate. Per descrivere successioni evolutive ed effetti di interazione del genere, i geografi urbani hanno elaborato modelli evoluzionistici da sostituire alle classiche teorie di luogo. […] La città in questo contesto è solo la parte più evidente dei cambiamenti all’interno della società. Sociologi come Ulrich Beck, Scott Lash e Anthony Giddens parlano di una “seconda epoca moderna”, nel senso di una modernizzazione della modernità. […] La modernizzazione è simile a una macchina, che viene guidata da un pilota automatico. Sebbene ogni singola parte di questa macchina sia realizzata dall’uomo, la direzione che essa prende può essere influenzata solo molto difficilmente. I meccanismi di comando vengono cambiati di continuo, il che muta la direzione di marcia; la meta rimane sconosciuta. In realtà non c’è assolutamente alcuna meta, ma solo un percorso, che conduce i partecipanti davanti a luoghi sconosciuti, senza fermate intermedie.
Le conseguenze delle singole azioni non si possono valutare. Effetti secondari possono ripercuotersi sulle azioni di base; conseguenze involontarie possono sfuggire alle intenzioni originarie. […] Le ripercussioni degli aspetti tecnologici, economici, legislativi o politici si dimostrano di gran lunga più potenti di qualsiasi pianificazione urbanistica e di qualsivoglia concetto architettonico. La città è un complesso conglomerato di influssi diversissimi. Se oggi ci occupiamo del tema città diventa allora inevitabile il confronto con queste forze e con le loro manifestazioni nello spazio. Non si tratta, qui, di fissare il presente ma di comprendere i punti di partenza, di scoprire le possibilità e di intervenire. È necessaria la fine dell’urbanistica delle “buone intenzioni”, che nega la città esistente e vuole crearne una totalmente nuova.» [Philipp Oswalt]