«Le case dell’avvenire entusiasmano gli sposini»




«Le case dell’avvenire entusiasmano gli sposini»: sotto questo titolo il “Corriere Lombardo” presentava, nel 1961, le case milanesi di via Gavirate (1959-62) di Bruno Morassutti, Angelo Mangiarotti e Aldo Favini, ormai in via di completamento. Rievoca tali parole il bel saggio di Giulio Barazzetta che inquadra l’attività progettuale di Bruno Morassutti in un volume pubblicato di recente (Milano, 2009).


Le case in via Gavirate sono tre, alte tre piani ciascuna, e sono cilindriche. Ogni piano ospita un appartamento. Scrive Barazzetta: «tre nuclei isolati nel loro perimetro introverso e panottico serviti dal blocco scala-ascensore; elementi ben distinti per funzione e forma che complessivamente descrivono una ibrida “palazzina” innestata su un “condominio” milanese. Ne risulta un edificio sintonizzato sul sogno di un avveniristico futuro, apparentato al più concreto obiettivo dell’abitazione di proprietà. La sua forte carica progressiva riecheggia i toni più schiettamente d’avanguardia a cui si riconduce la pianta centrale. Ma qui il “domani” è immediatamente attuabile: un piccolo gradino da salire per raggiungere una moderna identità sociale, non priva di asprezze da mitigare nella familiarità domestica».


Nell’idea di abitare in un “disco volante” è contenuta un’evidente ingenuità, fortemente legata all’epoca in cui l’opera si colloca. Tuttavia, nella semplicità della pianta circolare è racchiusa un’ipotesi abitativa dall’apparenza elementare ma in realtà alquanto complessa nei suoi riflessi concreti sulla vita di tutti i giorni. L'”avanguardismo” della case in via Gavirate, da questo punto di vista, non è meno spinto di quanto lo sia la struttura sulla quale si reggono, e certamente è assai più spinto di quanto lo stesso titolo del “Corriere Lombardo” non possa lasciare supporre.


In qualunque caso bisogna ritenere gli “sposini” del 1960 molto più evoluti di quelli del 2010. Per quanti in un tempo ormai prossimo si dispongono ad “abitare” gli spazi visivamente aggressivi ma sostanzialmente disutili di Zaha Hadid e di Daniel Libeskind (spazi che di tutto possono essere accusati tranne che di essere ingenui), è necessario ricordare che mezzo secolo fa, a non troppa distanza dal recinto dorato dell’ex-Fiera, è sorto un frammento di futuro che per loro rimarrà sempre e comunque “a venire”.



15 aprile 2010





morassutti1