di Marco Biraghi
Giancarlo Consonni, docente di Urbanistica al Politecnico di Milano, sull’edizione milanese di “La Repubblica” del 5 giugno 2010, stigmatizza con parole alate ma ferme il tentativo di spostare il Monumento a Sandro Pertini di Aldo Rossi in via Croce Rossa a Milano per far posto a un grande cubo nero di 20 m x 20 m, alto 3/4 piani, destinato a ospitare la nuova sede della galleria d’arte contemporanea Cardi Black Box, diretta da Nicolò Cardi, Barbara Berlusconi e Martina Mondadori. Scrive: «Cosa presuppongono queste proposte? Che lo spazio pubblico sia in vendita. Che luoghi urbani che sono patrimonio di tutti, stelle polari dell’immaginario e della memoria collettiva, possano essere manomessi a piacimento, purché si trovi l’accordo fra privati aggressivi e amministratori spregiudicati e compiacenti». E ancora, più oltre: «Se mai l’operazione della sua rimozione dovesse andare in porto, Milano si priverebbe di un gioiello. Un organismo che fa da appropriato fondale a via Montenapoleone e allo stesso tempo costituisce un luogosoglia fra via Manzoni e via Monte di Pietà. Una minuscola piazza-teatro capace di sospendere il “tempo del mercante” in uno spazio civile dove hanno modo di dialogare i marmi del Duomo e i gelsi, a testimonianza di due grandi motori dell’identità lombarda».
Signorilmente, Consonni s’indigna. E certo ha tutte le ragioni per indignarsi: dalla sua ha il diritto, la cultura, la storia. Tuttavia, possedere queste ragioni oggi forse non è più sufficiente, anzi – paradossalmente – non serve. Di fronte all’irrisione di ogni buon senso, allo spregio della ragionevolezza, alla persecuzione della ragione, di fronte all’ignoranza, ovvero di fronte al prevalere di interessi privati nella gestione della cosa pubblica da parte di chi si occupa (o dovrebbe occuparsi) del bene comune, è necessario qualcosa d’altro.
Diventa ormai indispensabile che tutti coloro che non accettano più tutto ciò – tutti, compresi gli intellettuali – compiano un sacrificio in nome del bene comune: che abbandonino le ragioni del diritto, della cultura, della storia e spostino il conflitto a un livello molto più basso, al livello al quale si situano i persecutori delle nostre città e della nostra civiltà. È soltanto a questo livello infimo, a questo livello primordiale, a questo livello barbarico, che si può sperare di ottenere qualcosa. Per la civiltà. Non sarà facile, ma ci si può – ci si deve – provare.
Dunque, spostino pure il Monumento di Aldo Rossi in piazzale Corvetto (ottima scelta! Fornire un falso bersaglio al vandalismo è un espediente eccellente per tenerlo a bada…). Lo spostino pure, per contrastare la vocazione solo commerciale della zona di via Manzoni-via Montenapoleone, secondo le surreali motivazioni esposte dall’ineffabile assessore alla “cultura” del Comune di Milano Massimiliano Finazzer Flory (ma da quando in qua una galleria d’arte non è un’attività commerciale?). Lo sostituiscano pure con il grande cubo nero di Nicolò Cardi, Barbara Berlusconi e Martina Mondadori (neppure il sospetto che siano i nomi che contano, eh ragazzi?…).
Lo facciano pure. D’altronde, se appena potranno, lo faranno, senza chiedere nessun permesso. Possono fare tutto quello che vogliono. Hanno già fatto, e stanno già facendo, tutto quello che vogliono di noi e della città che tengono in pugno. Tanto sanno benissimo che nessuno farà mai nulla per impedirglielo. Sanno benissimo che possono offenderci, calpestarci, sputarci in faccia, distruggerci, come e quanto gli pare.
Almeno fino a che non abbandoneremo le nostre ragioni.
18 giugno 2010