Obiettivi
La moltitudine che animerà le città del futuro chiederà di abitare in modi molto differenti tra loro e chiederà di poter condividere un progetto collettivo. La città è lo strumento che può consentire di raggiungere questo obiettivo, lasciando convivere stili di vita diversi e rendendo visibile un progetto comune capace di coinvolgere tutti i cittadini. La Torino del futuro deve quindi essere una città tollerante, aperta, multiforme, e allo stesso tempo deve rendere visibile (anzitutto ai suoi abitanti) un progetto in cui sia possibile identificarsi. La Torino del futuro dovrà essere sostenibile; dovrà affrontare i suoi problemi da un punto di vista consapevolmente globale, e valutare le strategie urbane tenendo conto di tutte le complesse serie di influenze reciproche che si producono nella città. La città sostenibile è infatti anzitutto una città che tiene conto di tutte le esigenze di tutti i suoi abitanti, una città che attiva energie molteplici in un progetto comune e che espone apertamente questo progetto, in modo che sia facile contribuirvi da parte di tutti. L’architettura di questa città del futuro non può che essere, secondo la splendida definizione di Mies van der Rohe, l’espressione visibile di un punto di vista che altri desiderano condividere.
Condizioni
Dobbiamo analizzare Torino senza pregiudizi e dobbiamo immaginare il suo ruolo in uno scenario internazionale sempre più competitivo e complesso. In questi anni Torino è stata forse l’unica città italiana ad affrontare seriamente questo compito, tuttavia non si tratta di un problema risolto per sempre. Torino deve continuare a definire la sua posizione in una geografia mondiale di città, attrattori, risorse, potenzialità sempre più mutevole. Questo esercizio cartografico quotidiano è fondamentale per produrre ipotesi sulla trasformazione della città, per individuarne le risorse, per riconoscere modelli di trasformazione pertinenti. Torino non deve crescere copiando i modelli delle metropoli emergenti, ma competendo con le citta’ medie, innovative ambiziose. Torino infatti ha una popolazione relativamente esigua, un costo del lavoro molto alto, una inerzia piuttosto forte. Allo stesso tempo Torino ha sviluppato uno straordinario legame con un territorio ricco e complesso; Torino possiede una struttura urbana particolarmente interessante e ricca di potenziale; Torino possiede una cultura produttiva diffusa e di altissimo livello. Queste considerazioni definiscono lo sfondo per iniziare ad immaginare il progetto. A partire da queste considerazioni, proviamo a costruire una città normale, ad usare intelligentemente la tradizione. Proviamo a immaginare una città del futuro che sia una città piemontese: sobria, elegante, rispettosa, riservata. E anche imprevedibile.
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Descrizione
Torino nasce in luogo geografico molto speciale, dove le montagne terminano e confluiscono il Po, il Sangone, la Dora e la Stura. La compostezza con cui la città reagisce a questo luogo è una conseguenza della ricchezza del paesaggio che incontra. La città apparentemente statica ed omogenea è, in realtà, un dispositivo straordinariamente sensibile di osservazione del territorio. La griglia si apre sempre sulle montagne e sui fiumi. Le Alpi e la collina appaiono sempre al termine delle sue prospettive. Il progetto della città del futuro dovrà essere ancora una volta un progetto di paesaggio. La città del futuro dovrà riuscire a leggere il territorio in cui si colloca, decifrando la geografia dei luoghi e costruendo costellazioni che possano avere senso all’interno di un più ampio sistema territoriale. Torino è riuscita per secoli a tradurre nella ridottissima lingua resa possibile dal reticolo ortogonale tutte le particolarità geografiche dei luoghi che la griglia veniva a misurare. Torino è stata capace di espandersi estendendo la sua regola, scoprendola ogni volta insospettabilmente adeguata. Il tessuto urbano si è esteso come materia sensibile, sviluppando centri e reagendo poi agli impulsi che questi avevano generato, disseminando tracce sottili nella apparente uniformità della scacchiera. Torino dovrà imparare da Torino, dalla sua capacità di digerire e sublimare la trasformazione, di registrarla attenuandola sistematicamente, ma non rimuovendola del tutto.
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Ipotesi generali
Le trasformazioni innescate dal Piano Regolatore del 1995 e, in particolare, la realizzazione del passante ferroviario, definiscono un preciso indirizzo per le future politiche urbane della città. Questo processo di trasformazione, che ci pare non solo condivisibile, ma esemplare all’interno della realtà italiana, si basa su una precisa lettura del territorio in cui la città va a inserirsi. All’interno di questo territorio viene individuato un sistema di fiumi, parchi, antiche residenze reali e potenziali aree verdi (che potranno sostituire alcune aree industriali dismesse lungo i fiumi), che compone lo sfondo su cui qualsiasi nuovo progetto deve inserirsi. Queste condizioni forniscono a Torino una straordinaria opportunità per immaginare una nuova città, per definire un nuovo equilibrio tra luoghi non più separati.
La costruzione di un’ipotesi di lavoro per le tre aree di concorso deve quindi inserire il progetto all’interno del dibattito che si è sviluppato negli ultimi anni, senza per forza assumere gli ultimi risultati come elementi definitivi, ma inserendoli all’interno di una complessa successione di proposte, a cui è possibile attingere e con cui è necessario collaborare. Torino ha infatti investito in questi anni sulle tre aree di concorso energie intellettuali notevoli e le conoscenze così accumulate non devono essere sprecate. È quindi possibile utilizzare idee precedenti, senza per forza volersi distinguere. Soprattutto ci pare opportuno soffermarci sulle analisi e sulle proposte che sviluppano un discorso alla scala dell’intera città, derivandone conseguenze per le differenti aree. Tra questi lavori e’ importante considerare il piano regolatore di Gregotti Associati, a patto di liberarlo da una lettura pigra e scontata.
La costruzione di un’ipotesi di lavoro convincente per le aree di concorso deve misurarsi con tutto il territorio cittadino e deve conseguentemente affrontare il problema nella sua interezza, inserendo i tre ambiti all’interno di un discorso unitario. Per questo motivo abbiamo scelto di lavorare su tutte le tre aree di concorso, suggerendo una strategia unitaria, pur riconoscendo i tre temi come distinti e proponendo soluzioni rigorosamente indipendenti e contenute all’interno degli ambiti di concorso. Occuparsi di una sola area rischia infatti di restringere eccessivamente il campo della ricerca, limitando gli scopi del progetto ed incoraggiando a trascurare le conseguenze che si producono sulle altre parti della città. Al contrario, lavorare a tutte le tre aree contemporaneamente significa dotarsi, per ogni progetto, di ulteriori strumenti di verifica interna. L’identità delle singole aree di concorso emerge con maggiore nettezza dal confronto con le altre. La chiarezza del discorso globale si traduce in precisione delle proposte specifiche.
Il nuovo percorso della metro 2 forma un’eccezionale connessione all’interno della città. Il nostro progetto cerca di rafforzarla attivando un nuovo sistema di assi veicolari e ciclopedonali, espressamente non coincidenti con il suo percorso. La connessione fornita dalla nuova linea della metropolitana rende infatti superfluo qualsiasi enfasi sul collegamento pedonale tra la Spina 4 e lo scalo Vanchiglia. Unire le due aree attraverso un boulevard verde appare un gesto ridondante e, in definitiva, condannato all’insuccesso. Più interessante è costruire un equilibrio urbano più articolato, scoprendo figure latenti all’interno di una geografia per nulla scontata. Un possibile tridente fa capo a piazza Rebaudengo: da un lato, la via Porpora/Cimarosa (un interessante e sottovalutato asse da rafforzare) collega Spina 4 con Vanchiglia, e come asse ciclopedonale può arrivare, attraverso il cimitero e attraverso i due fiumi, fino oltre corso Casale, dall’altro via Toscanini può arrivare a congiungersi direttamente alla Spina attraverso la nuova rotonda al centro del parco Sempione. In questo modo il nuovo complesso di Spina 4, il cimitero e la zona dello scalo Vanchiglia, il Parco Sempione, il Parco della Colletta e le aree verdi lungo il Po e la Stura fino alla Venaria e il sistema di piazze disposte attorno all’ex trincerone ferroviario vanno a comporre una nuova costellazione urbana che ha i suoi fuochi nella rotonda di Spina 4, in piazza Rebaudengo, in piazza del Donatore di Sangue e nella nuova piazza all’incontro di via Regaldi e via Cimarosa.
Questa rete stradale mette in relazione i tre ambiti di progetto, che vengono occupati da pezzi di città molto differenti, ma sempre complementari alla città con cui si misurano. A Spina 4 appaiono tre grandi edifici dal programma complesso, raggruppati attorno ad una colossale rotonda, che accoglie nel suo incavo ospitale i più svariati usi metropolitani. L’area dello scalo Vanchiglia si riempie di isolati dal perimetro regolare, che racchiudono orti e giardini all’interno delle corti. L’ex trincerone ferroviario di corso Sempione/Gottardo viene interamente occupato da un nuovo tessuto edilizio fatto di veri e propri isolati, che rimuove la frattura nel quartiere Barriera di Milano; nuove abitazioni, servizi e piccoli spazi pubblici ricompongono un paesaggio urbano gradevole e quotidiano. […]
Spina 4 è uno dei luoghi che definiranno l’identità della Torino futura. A Spina 4 tessuti urbani diversi si incontrano su un nuovo grande asse viario. Flussi di traffico notevoli si sommano ad una grande densità urbana, definendo un luogo intenso e metropolitano, disposto in un punto di contatto tra la città storica e la sua incerta periferia. Le contraddizioni che si sono accumulate nel tempo su questo luogo non devono essere nascoste.
La città del futuro deve contenere anche luoghi metropolitani, frenetici, completamente artificiali, assieme a estensioni di verde del tutto quiete, pacificate, idilliache. Non è possibile, né utile provare a ricucire i tessuti urbani che si affacciano su Spina 4. Nemmeno è possibile conciliare l’attraversamento veicolare con la pedonabilità della “piazza”. In fin dei conti in quasto punto la Spina Centrale è quasi un’autostrada e pare ingenuo sperare che una piazza tradizionale attraversata da un’autostrada possa funzionare. Una “piazza” pedonale può apparire a Spina 4 solamente affrontando radicalmente il problema del nodo di traffico. Una piazza può essere scoperta proprio nel luogo più insospettabile: dilatando la connessione tra la Spina, via Cigna (e l’estensione di via Toscanini), via Breglio e via Fossata fino a definire una colossale rotonda di 200 m di diametro, uno spazio pubblico interamente pedonale e dalla geometria perfetta appare proprio all’interno del nodo di traffico. La rotonda risolve infatti tutti i problemi urbani di Spina 4, quelli viabilistici e quelli urbanistici, definendo un pulsante centro metropolitano nel mezzo di un tessuto urbano complicato e incoerente. Le dimensioni eccezionali dell’incavo ricavato all’interno della rotonda e la presenza di un grande tubo (2 m di diametro) al suo bordo annullano immediatamente i problemi di inquinamento sonoro. Una inattesa quiete si produce al centro dei flussi di traffico. La rotonda disciplina il traffico automobilistico e accoglie tutti i flussi pedonali e ciclabili provenienti dalle stazioni della ferrovia e della metropolitana, dai parcheggi interrati, oltre che dai tre grandi edifici affacciati su di essa. Il livello -1 dei tre edifici è infatti direttamente collegato attraverso un passaggio sotterraneo e attraverso scale mobili ed ascensori con la piazza al centro della rotonda. La piazza diventa così un luogo di scambio in cui si intrecciano tutti i flussi che attraversano l’area. A Spina 4 può apparire una città nuova, netta, a suo modo monumentale, e allo stesso tempo semplice e priva di retorica, una città fatta di oggetti solidi e densi, disposti attorno ad un nodo di traffico che non viene occultato. I grandi blocchi si dispongono secondo le geometrie dei pezzi di città a cui si attaccano e si affacciano sul colossale nodo di traffico come volumi composti e silenziosi, e tuttavia abitati da una moltitudine frenetica. Tutto il volume richiesto si concentra in tre grandi grumi, lasciando libera una grande estensione verde. La città è, fin da subito, paesaggio. E’ infatti il verde che circonda gli edifici e li connette ai tessuti circostanti. I grandi blocchi sono portati come iceberg da tempestosi oceani di verde metropolitano.
La piazza rotonda al centro del nodo di traffico è leggermente concava: il bordo è 2,5 m più alto del centro. Come una enorme bacinella, la piazza rotonda raccoglie ogni sorta di attività metropolitana, mutando secondo le attività che ospita. La piazza rotonda si comporta come alcuni grandi spazi metropolitani dalla natura indefinibile e generosa, come il Circo Massimo a Roma, come la piazza Jama’a el-Fnaa a Marrakesh. Questi spazi, definiti solo dalla geometria dei bordi, e dall’insieme di memorie depositate nell’immaginario collettivo, sono caratterizzati da una straordinaria apertura programmatica; possono ospitare qualsiasi evento e sembrano essere sempre più necessari alle metropoli contemporanee. La sempre maggiore quantità di eventi che invadono la città contemporanea necessita infatti di spazi in cui accadere, spazi pubblici, ma differenti da quelli tradizionali. A Torino c’è già un numero sufficiente di eccellenti piazze chiuse con cui sarebbe difficile, se non impossibile, competere; quello che manca è uno spazio metropolitano capace di accogliere riti ed eventi contemporanei. Se osserviamo, ad esempio, il Circo Massimo, notiamo che è, negli ultimi anni, è stato usato per manifestazioni che non potevano trovare spazio altrove: scioperi e manifestazioni politiche di dimensioni eccezionali, celebrazioni di epocali vittorie sportive. Il Circo Massimo offre la sua scala colossale, la sua natura incerta e tollerante (non è una piazza, non è un parco), il suo nome esotico e glorioso. Il Circo Massimo offre al desiderio di celebrare i trionfi delle squadre di calcio l’accenno di ritualità implicito nel suo nome e nella sua forma, offre al desiderio di condividere un progetto politico la sua capacità di accogliere e riconoscere senza definire, consentendo alla moltitudine contemporanea di specchiarsi e riconoscersi come soggetto mutevole e incerto. Allo stesso modo, la nuova piazza rotonda consente di accogliere concerti rock e manifestazioni sindacali, consente di celebrare gli scudetti del Torino e di allestire pigri mercatini nelle domeniche pomeriggio di primavera.
Torino è riuscita, per gran parte della sua storia urbana, a digerire e sublimare la trasformazione, ad adottare idee di trasformazione radicale attenuandole sistematicamente, ma senza rimuoverle del tutto. In questo senso, il progetto per Spina 4 prova a recuperare, ridotti al buonsenso, i due progetti più importanti prodotti per Torino nel dopoguerra (il progetto per il centro direzionale di G. Polesello e A. Rossi, ed il centro direzionale FIAT a Candiolo di R. Gabetti e A. Isola). La piazza rotonda e i massicci blocchi che gli gravitano attorno, attratti dal vuoto sconfinato, mantengono la scala monumentale dei progetti a cui fanno riferimento e allo stesso tempo la addolciscono, rendendola fattibile (il cratere circolare in fin dei conti è una rotonda). Il progetto conserva il carattere ibrido, non integralmente urbano (sia iperurbano nel caso di Polesello e Rossi, sia pastorale come nel caso di Gabetti e Isola) dei suoi modelli. La piazza rotonda cerca di stabilire un rapporto positivo con la periferia e la città diffusa contemporanea, allo stesso modo in cui alcuni progetti neoclassici (il foro dell’Antolini a Milano o il Prato della Valle del Memmo a Padova), provavano a stabilire una relazione positiva tra la città e la campagna produttiva dell’epoca.
Il nuovo Parco Sempione è anzitutto un’area produttiva, a pioppeto, che fornisce parte delle biomasse necessarie per la centrale di cogenerazione. Il verde produttivo si dispone attorno alla rotonda secondo un disegno morbido, i filari di pioppi curvano leggermente, producendo un parco semplice e delicato. All’interno dei filari di pioppi si sviluppano isole di parco tradizionale, connesse in percorsi didattici legati alla cascina Fossata e alle infrastrutture connesse alla centrale di cogenerazione. In questo modo sarà possibile sensibilizzare i visitatori rispetto alle tematiche ambientali, illustrando l’intero ciclo produttivo della centrale a biomassa.
La realizzazione del progetto per Spina 4 si potrà sviluppare attraverso tre fasi successive, coordinate dalla STU. Anzitutto il progetto urbano verrà sviluppato per indirizzare l’attività di pianificazione della STU, per definire il disegno delle infrastrutture, per coinvolgere investitori e per preparare i bandi di concorso per i tre edifici, per il parco e per la piazza al centro della rotonda. Il progetto definirà solamente il tracciato delle infrastrutture, il sedime e l’altezza massima dei nuovi edifici. Le scelte architettoniche saranno interamente lasciate agli architetti invitati ai concorsi per i differenti ambiti di intervento. In seguito verranno prodotti, in collaborazione con gli investitori coinvolti, i bandi per i concorsi per i differenti elementi dell’area. In seguito, i progetti scelti per i differenti temi di concorso verranno realizzati dagli investitori con il costante coordinamento della STU. Alcuni ambiti (il parco, la piazza) potranno essere coordinati direttamente dalla STU utilizzando il sistema “a scomputo”. Le immagini che illustrano il progetto rappresentano uno dei possibili scenari: i tre edifici sono rappresentati come (falsi) progetti di tre studi di architettura contemporanei che riteniamo non solo altamente consigliabili, ma anche plausibili in basi a criteri di genere, nazionalità, età, ecc. politicamente corretti ed accettabili per una amministrazione moderatamente illuminata (SAANA Sejima + Nishizawa, Neutelings Riedijk Architects, Alvaro Siza).
Aspetti energetici
La Regione Piemonte prevede che entro il 2020 più di un terzo del contributo dato dalle fonti energetiche rinnovabili derivi da valorizzazione delle biomasse. Il nostro progetto propone di inserire una centrale di cogenerazione a legna entro il parco della zona Sempione, in grado di sfruttare il legname prodotto dal parco produttivo (fustaia) in filiera. La centrale di cogenerazione potrà essere accoppiata con la sede di un piccolo “ente parco” (collocato nella cascina Fossata), che potrà organizzare eventi e visite guidate al polo energetico, per sensibilizzare la popolazione in merito all’impiego sostenibile dell’energia. In questo modo il parco e la centrale di cogenerazione potranno rafforzare il legame tra la città e la periferia agricola attraverso la valorizzazione del patrimonio forestale. La posizione proposta per la centrale permette di conseguire i seguenti vantaggi: il parco determina un’area di rispetto attorno alla centrale la vicinanza tra il parco e la ferrovia permette di ipotizzare un collegamento ferroviario dedicato per l’arrivo del legname che dovrà essere in parte importato dalla provincia Nord di Torino le nuove infrastrutture viarie consentono di convogliare il trasporto degli sfalci di potatura dei viali urbani alla nuova centrale la centrale di medie dimensioni e con un elevato numero di utenze pronte all’allacciamento, garantisce l’efficienza della produzione e ridotti tempi di rientro dell’investimento Sarà possibile realizzare una rete di teleriscaldamento con utenze estremamente prossime Sfruttando il rifacimento della trincea ferroviaria sarà possibile costruire linee di teleriscaldamento che alimenteranno le zone della Spina 4, viale Sempione e dell’attuale Scalo Vanchiglia. […]
di MARC, Baukuh, Yellow Office