Generation Application

di Marco Biraghi

Sempre più di frequente capita – a me, come a molti miei colleghi – di ricevere la richiesta da parte di studenti, laureati o addottorati, di fornire loro una lettera di raccomandazione per l’ammissione a un dottorato o a un post-dottorato, soprattutto presso più o meno prestigiose università straniere. Nulla a che fare con le vecchie raccomandazioni all’italiana: telefonate pseudo-amichevoli, lettere traboccanti di lodi, discorsetti in separata sede tenendo il collega sotto braccio.

Le raccomandazioni richieste – o meglio, imposte – dalle università straniere sono perfettamente regolamentate nella forma dell’application: formulari da compilare online, asettici, scientifici, di cui la suddetta lettera costituisce soltanto una delle componenti, e non per forza quella più importante.

Altrettanto essenziale, nell’economia complessiva della recommendation, è il rating del candidato, ovvero la sua puntuale valutazione sulla base di alcuni precisi parametri: l’academic performance, l’intellectual potential, la motivation, la creatività e l’originalità, la predisposizione alla ricerca. Il tutto da classificare secondo fasce di merito, che vanno dal truly exceptional, riguardante una ristrettissima elite, per passare poi dall’ottimo top 5%, al buon top 25%, al mediocre top 50%, per finire con l’insoddisfacente below 50%.

Per i candidati queste valutazioni sono la porta stretta – spesso unica e obbligata – attraverso cui transitare per poter avere accesso a borse di studio dignitose in università dove la ricerca è svolta seriamente e tenuta in una considerazione adeguata. Esse divengono dunque la logica con cui confrontarsi, la mentalità all’interno della quale calarsi, il linguaggio da imparare e da far proprio. E ciò non soltanto nel corso di quel periodo più o meno lungo in cui sono impegnati a misurarsi con la sfida delle applications, ma anche – presumibilmente – nell’eventualità che una di queste vada a buon fine.

Da quel momento in avanti, non soltanto i contenuti della loro ricerca, ma ogni loro pensiero, ogni loro azione, la loro stessa vita – così almeno si ha l’impressione – dovranno essere sottoposti al vaglio di una continua e minuziosa verifica, analizzati, suddivisi, classificati in base al loro approssimarsi o meno a un top ideale di eccellenza, di performaticità.

Alcuni di questi giovani hanno davanti a loro un futuro radioso. Ma non sono del tutto certo di invidiarli.

13 gennaio 2011