di Alessandro Gattara
Su MMX manca un testo su Lagos, che invece non mancava all’ultima Mostra di Architettura alla Biennale di Venezia conclusasi lo scorso novembre. Era nel Palazzo delle Esposizioni, nell’installazione curata da OMA e intitolata Cronocaos..
L’interesse di Rem Koolhaas per la città di Lagos è noto da tempo; non era noto invece questo libro, scritto probabilmente nel 2000 e finora inedito. La storia editoriale della ricerca sviluppata con gli studenti di Harvard Project on the City è ricca e travagliata. Il volume di 800 pagine Lagos. How It Works, annunciato prima nel 2005 in uscita per Taschen poi nel 2006 per Lars Müller, non è mai stato pubblicato. Su Amazon.com si può vedere la copertina, sul catalogo della Frances Loeb Library alla Graduate School of Design di Harvard si può vedere che quattro copie sono state ordinate ma non ricevute. Si è potuto leggere su Lagos invece su Mutations nel 2000 e su Content nel 2004. Infine nel 2005 (nel 2003 per l’edizione americana) è uscita una registrazione video che ritrae Koolhaas sul campo della ricerca. Si deve segnalare anche una rarissima edizione, oggi da collezione e quasi introvabile, per le Midi Series di Taschen del 2006 dal titolo Lagos.
Il volumetto apparso nel padiglione veneziano è una versione più ampia, e solo in parte diversa, del saggio apparso su Mutations. In circa 150 pagine, di cui le prime 60 di solo apparato iconografico, sono raccolti e ordinati in brevi paragrafi alcuni esiti degli studi sul campo e delle ricerche effettuate da Koolhaas per circa tre anni. La struttura di questo libro non è mutuata dall’oggetto stesso della narrazione, come invece si riscontrava in Delirious New York (1978), The Generic City (1994) e Junkspace (2002). Si legge alle pp. 63-64: “La struttura di questo libro non è né una riproduzione della città, né una metafora dei suoi processi. Il corpo dei testi, ampi saggi impilati in una matrice di brevi citazioni e aneddoti, segue una traiettoria documentaria attraverso la costruzione materiale e mitica di Lagos. Liberamente disposti lungo uno spettro formato da Scape, Building e Flexible Infrastructure, ogni sezione tratta di svariati processi in atto in questo apparentemente incomprensibile milieu.” A p.65: “L’intenzione di questo montaggio narrativo è definita nella sezione di apertura, una sorta di tour in automobile della città, e nel post scriptum, un riassunto della storia della città in diversi tipi di dati ricomposti. […] L’ambiguità del tour fotografico, dopo le investigazioni del testo, si combina con la fastidiosa inadeguatezza del tour statistico di Lagos-Abuja nel post scriptum, dimostrando i limiti delle analisi tradizionali in questo nuovo tipo di città.”
Koolhaas nel 1998 inizia a studiare Lagos come “estremo e paradigmatico caso di studio di una città all’avanguardia della modernità globalizzata” (p.63). A seguito di un esame approfondito della realtà, quello che a prima vista potrebbe apparire come una condizione caotica e disordinata, con inaspettati e grandiosi momenti di auto-organizzazione, viene descritto invece come un sistema ingegnoso e prosperoso, che in modo parassitico si adatta alle grandi infrastrutture del processo di modernizzazione degli anni ’70. La permanente sete di infrastrutture di Lagos è dovuta alla scarsissima densità abitativa dovuta a sua volta all’introduzione del blocco di argilla come materiale di edificazione. Si legge a p.75: “il sogno modernista dell’abitazione collettiva sviluppata in altezza resta una fiction. […] Può l’orizzontalità essere urbana?” Le consolidate convinzioni eurocentriche iniziano a scricchiolare. Paragrafo dopo paragrafo Lagos intende sovvertire interamente l’idea della cosiddetta città moderna. A p.76 i muri di recinzione delle proprietà più costose ospitano casualmente mercati. A p.82 lo spazio destinato a parco rapidamente viene trasformato in parcheggio, mercato, attività commerciali, discarica, luogo di preghiera; in questa metropoli “una formale architettura del paesaggio è un’anomalia”. A p. 86 ancora, definendo il ruolo della veranda nella costruzione del tipo residenziale: “il sogno modernista del tipo residenziale in linea fluttuante su cinture di verde non trova spazio a Lagos.” A p. 118 le condizioni del traffico, definite con i termini popolari slow-go e no-go, determinano importanti scambi commerciali come ad esempio il più grande mercato scoperto dell’Africa Occidentale a Oshodi (p.126). Tutto quello che per la cultura architettonica occidentale è marginale o informale, a Lagos, funziona.
Lagos è presentata come un’altra Città Generica. Prima ci sono state New York degli anni ’20 e ’30 (il testo è scritto tra il 1972 e il 1978), Atlanta degli anni ’70 (tra 1987 e il 1994), Singapore degli anni ’60 (1995), il Delta del fiume delle Perle degli anni ’90 (2001); successivamente il Golfo Persico degli anni ’00 del ventunesimo secolo (2007 e 2010). In questi racconti Koolhaas dimostra essere attratto soprattutto dall’architettura senza firma; tra le innumerevoli immagini che illustrano i voluminosi tomi si nota un’ossessione per tutto ciò che si può definire semplicemente l’ordinaria realtà della città e non per i suoi memorabili monumenti. Il registrare incessante ha però un fine. L’autore è spinto dall’inesauribile attitudine nel ricercare nuovi significati che illuminino per riflesso il punto di partenza (e di arrivo) di ogni esplorazione, cioè la “tradizionale” idea occidentale di città. Si legge in Lagos a p.63: “Lagos non sta raggiungendo noi. Piuttosto, siamo noi che potremmo raggiungere Lagos.” […] “Scrivere sulla città africana è come scrivere sulla condizione terminale di Chicago, Londra o Los Angeles.” In conclusione a Singapore Songlines a p.1087 di S,M,L,XL si legge: “il suo modello sarà lo stampo per la modernizzazione cinese. Due miliardi di persone non possono sbagliarsi.” Nel saggio Last Chance?, dove si prefigura la prossima estinzione di luoghi in cui ricominciare dalla tabula rasa, a p.7 di Al Manakh si legge: “il Golfo non sta solo riconfigurando se stesso; sta riconfigurando il mondo.”
Koolhaas veste per la prima volta la figura di architetto-antropologo, oggi esplicitamente dichiarata, nel saggio Globalization del 1993, pubblicato a p.362 di S,M,L,XL, dove a fianco del testo un’immagine ritrae seminudi un uomo e una donna di colore, in piedi di fronte a una capanna nella foresta e con alcuni arnesi in mano. Si potrebbe “retroattivamente” considerare questo come l’inizio della vena antropologica di Koolhaas. Dall’interesse per le implicazioni del processo di globalizzazione, l’architetto arriva a confrontarsi apertamente con la città non Occidentale. Con i metodi di un antropologo, e anche grazie alla libera piattaforma di ricerca resasi disponibile ad Harvard, negli anni successivi Koolhaas ha svolto un’impressionante ricerca che lo ha portato ad esaminare gli apparenti residui del processo di modernizzazione ai quattro angoli del globo per smuovere le inerzie della Vecchia Europa. Ci mancava solo Lagos.
25 gennaio 2011