di Marco Biraghi
Letizia Moratti che abbraccia gli anziani; Letizia Moratti in mezzo ai giovani; Letizia Moratti ecologica; Letizia Moratti urbanista; Letizia Moratti spazzina; Letizia Moratti maestrina; Letizia Moratti mammina…
La campagna elettorale di Letizia Moratti per la poltrona di sindaco di Milano è incentrata su uno degli stereotipi più triti della politica italiana contemporanea: quello del politico (e nella fattispecie, del sindaco) “tuttofare”. Per di più, rispetto ad analoghe “performance” precedenti – specie berlusconiane – quella della Moratti è caratterizzata da un tasso di retorica e da una fiacchezza davvero difficilmente immaginabili ed eguagliabili. Immagini “costruite” in modo estremamente banale, e al tempo stesso artefatto, dove le comparse raggiungono il non invidiabile risultato di apparire “stanche” del loro ruolo, e dove la stessa attrice protagonista pare essere a disagio e mostra un volto che è tanto digitalmente manipolato quanto pateticamente smarrito, quasi fuori luogo.
Tutto ciò rientra comunque nelle consuete strategie dell’immagine, riuscite o meno che siano. Certo, si potrebbe chiedersi per quale ragione il sindaco Moratti non abbia scelto di utilizzare, per la sua campagna elettorale 2011, le vere immagini che nel corso di cinque anni di governo avrà (o quantomeno, dovrebbe avere) raccolto: Letizia che abbraccia gli anziani; Letizia in mezzo ai giovani; Letizia ecologica; Letizia urbanista; Letizia spazzina; Letizia maestrina; Letizia mammina… Perché fare ricorso a cattivi figuranti quando (e se) si hanno a disposizione persone animate da un sincero entusiasmo? Ma chi cura l’immagine di Letizia Moratti sa sicuramente il fatto suo: innaturalità e pateticità evidentemente – si pensa – piacciono ai milanesi.
Tra le immagini presentate, tuttavia, ve n’è una che merita uno sguardo più attento: quella in cui Letizia Moratti addita a tre inebetiti giovanotti un grande rendering incorniciato del nuovo Museo di Arte Contemporanea di Daniel Libeskind, che dovrebbe sorgere a CityLife, nell’area dell’ex Fiera. Lo slogan recita: “Una Milano sempre più attraente: un nuovo museo di arte contemporanea unico al mondo”.
Tralasciando la poco probante, e addirittura risibile, questione dell'”unicità” del museo (unico quanto lo può essere qualsiasi altro edificio sulla superficie del pianeta, e non certo perché intrinsecamente diverso dai musei di arte contemporanea già presenti in ogni altra città mondiale e italiana), ciò che va notato è invece un curioso raggiro: lo spettacolare rendering che Letizia Moratti mostra orgogliosamente come prossimo prodotto della cultura (d’impresa) milanese si riferisce infatti a un altro progetto.
Si tratta del Museo del Design, progettato dallo stesso Libeskind nel 2004, trasformato in Museo di Arte Contemporanea a seguito della Variante del 2008. Esso differisce dal progetto di Museo di Arte Contemporanea attuale (presentato in Comune nell’aprile 2010) per le dimensioni e per i materiali impiegati. Avendo verificato, in fase di redazione del progetto preliminare, che il budget a disposizione non sarebbe stato sufficiente, CityLife riduce la superficie disponibile del Museo originario di circa un terzo (a fronte di un volume lasciato invariato), mentre il travertino previsto nel primo progetto diviene ora alluminio verniciato color bronzo “spazzolato”. Si viene così a creare un'”intercapedine”, nel nuovo progetto, tra l’edificio vero e proprio e la sua “pelle” esterna; uno spazio vuoto che rivela il carattere posticcio e del tutto superfluo – “decorativo” – dell’involucro del Museo, che si torce trapassando progressivamente da una pianta quadrata a una pianta circolare (evocazione, nella mente di Libeskind, dell’homo ad circulum et quadratum di Leonardo); uno spazio vuoto che nel rendering della versione attuale è nettamente visualizzato, mentre in quello esibito da Letizia Moratti (trattandosi del rendering della versione precedente) non c’è. (Devo la segnalazione di questo caso di “scambio” di immagini, nonché l’accurata ricostruzione delle caratteristiche dei due progetti e delle loro differenze, a Florencia Andreola, il cui bel lavoro su CityLife è di prossima pubblicazione).
Per quale ragione Letizia Moratti per la sua campagna elettore ricorre deliberatamente a questo inganno? Perché utilizza un progetto che non esiste più e che non verrà mai realizzato quando (e se) aveva a disposizione un progetto più recente e realistico? Ma chi cura l’immagine di Letizia Moratti sa sicuramente il fatto suo: menzogne e inganni evidentemente – si pensa – piacciono ai milanesi.
28 aprile 2011