di Gabriella Lo Ricco
Non ci si meraviglia più che per fargli spazio sia stato distrutto un sobrio e dignitoso esempio di archeologia industriale milanese, lo stabilimento Centenari Zinelli; non ci si stupisce neanche più dell’assurda retorica pubblicitaria che pone il complesso abitativo di via Lomazzo 52 surrettiziamente in continuità con gli eccellenti esempi abitativi progettati da Bottoni, Terragni e Vietti nel vicino corso Sempione; né scandalizza ormai più di tanto la convenzionale e grossolana organizzazione interna delle diverse unità abitative, perfettamente in linea con le attuali offerte degli operatori immobiliari.
Ciò che invece perturba è il messaggio che tale intervento mette in forma: l’indifferenza ai caratteri morfologici dell’area adiacente a via Lomazzo, e i meri calcoli di distanza tra gli edifici e delle volumetrie disponibili, sono le uniche e reali ragioni della dislocazione planimetrica e delle altezze dei tre stabili che compongono l’intervento.
Inoltre se il muto recinto che racchiude lo stabile a ridosso di via Lomazzo, nel suo celare indifferentemente i corridoi di accesso ai duplex e gli spazi riservati ai box, traduce la richiesta di dotare i tradizionali e vibranti ballatoi milanesi della “sicurezza” di poter vivere lo spazio abitativo senza la costante preoccupazione di essere disturbati, anche solo visivamente; se la creazione di un inabitabile giardino “giapponese”, visibile attraverso un ulteriore (benché trasparente) recinto, è la negazione degli intoversi e inaspettati cortili milanesi; se tale silente cortile è, in relazione agli spazi abitati, solo il retro degli alloggi che si aprono sui giardini privati, sapientemente celati anch’essi agli sguardi indiscreti e frenetici della città; se la struttura a griglia che avvolge i sedici piani delle abitazioni, caratterizzata da un passo irregolare per far fronte alla non coordinata progettazione degli affacci interni, nega paradossalmente quel pensiero e quella misura razionale a cui vorrebbe invece alludere; se la scadente qualità delle finiture di facciata parla di un totale disinteresse per la cura costruttiva ed esecutiva del costruito: se tutto ciò è vero, allora l’intervento in via Lomazzo progettato dallo studio Antonio Citterio Patricia Viel and partners in collaborazione con lo studio Anna Giorgi and partners è un esempio calzante di come il tentativo di accordare le ragioni “burocratiche” e gli attributi del nuovo lusso generi uno sterile contributo alla costruzione di una cultura dell’abitare condivisa e condivisibile.
Milano, 30 maggio 2012