di Marco Biraghi
In un momento particolarmente critico e problematico della storia italiana; in un momento in cui il nostro Paese attraversa grandi difficoltà economiche e sociali; in un momento di crescente sconforto delle giovani generazioni, che non riescono più a scorgere un futuro in Italia e sono costrette a riparare all’estero per vedere riconosciuti i propri talenti e le proprie aspirazioni, la scelta del figlio di Bruno Zevi come curatore del Padiglione Italiano alla prossima Biennale di Venezia costituisce un piccolo ma inequivocabile segnale.
Il segnale è il seguente: oggi, in Italia, se si vuole ottenere qualcosa come – ad esempio – l’affidamento della cura del Padiglione Italiano alla prossima Biennale di Venezia, o si è Bruno Zevi, o si è il figlio di Bruno Zevi. E dal momento che di Bruno Zevi non ce ne sono più in circolazione, non vi è nulla d’altro e di meglio che essere il figlio di Bruno Zevi.
Si potrebbe variamente analizzare la conduzione della selezione del curatore del Padiglione Italiano alla Biennale di Venezia di quest’anno da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali: dalla decisione di organizzare una sorta di concorso a inviti tra una decina di più o meno significativi architetti e critici, alla dilazione di tale scelta fino ai primi giorni di maggio (ovvero a poco più di tre mesi dall’inaugurazione della Biennale). Al di là di tutti i dubbi e le perplessità che questa conduzione poteva già di per sé suscitare, resta comunque la scelta del figlio di Bruno Zevi a sollevare i maggiori dubbi e perplessità.
Non si vuole qui mettere in discussione il curriculum del figlio di Bruno Zevi. E ancor meno la sua proposta per il Padiglione Italiano, che per il momento rimane ancora ignota. Tuttavia – certamente e innegabilmente – il maggior merito del figlio di Bruno Zevi è e rimane quello di essere, per l’appunto, il figlio di Bruno Zevi.
In queste ore si moltiplicano gli auguri di buon lavoro al figlio di Bruno Zevi e gli auspici che il suo Padiglione Italiano rappresenti degnamente l’Italia. Personalmente non mi unisco a questo coro, dal momento che non dubito che il Padiglione Italiano curato dal figlio di Bruno Zevi rappresenterà degnamente l’Italia. E a me questa Italia, in cui non vi è nulla d’altro e di meglio che essere il figlio di Bruno Zevi, non piace.
A ben pensarci, però, ci sarebbe una maniera – un’unica maniera – per il figlio di Bruno Zevi per riscattare le sorti del Padiglione Italiano, e con ciò – sia pure attraverso un piccolo ma inequivocabile segnale – le sorti dell’Italia intera, in un momento tanto difficile, almeno agli occhi di schiere di giovani talentuosi e frustrati dal modo in cui vanno le cose nel nostro Paese: dimostrare di non essere il figlio di Bruno Zevi.
4 maggio 2012