di Marco Biraghi
Oggi è un altro di quei giorni in cui non è proprio il caso di parlare di architettura. Non che non sia in questione qualcosa che riguarda le strutture sociali, materiali, concrete – e dunque vitali – la vita! – del nostro Paese, ovvero quelle stesse questioni di cui si occupa – o dovrebbe occuparsi – l’architettura. Ma nella circostanza in maniera un po’ meno circoscritta e diretta.
È di oggi la notizia dei tagli di spesa ad alcuni comparti dello Stato. Che dei tagli alle spese inutili – o meno utili – vadano fatte, è fuori di dubbio, soprattutto in un momento in cui non c’è molta altra scelta. Lo Stato consuma molte risorse, e le spreca addirittura, avvezzo a un sistema nel quale si alimentava di risorse economiche – come fino a non molto tempo fa quelle naturali – ritenute “infinite”. E dunque va bene ridurle, tagliarle. Ma quali tagliare? Questo è evidentemente il problema.
Per risolvere queste questioni esistono i ministeri – e i ministri, primi o secondi – preposti. E anche questo va bene. Tuttavia, oggi come in molte altre occasioni, la sensazione è quella che ministeri e ministri non affrontino mai le questioni da un punto di vista effettivo, ovvero con quel minimo di logica e di buon senso che sarebbe forse necessario.
Sui tagli alla sanità, ad esempio: il comparto sanitario è certo uno di quelli in Italia che consuma più risorse, e forse non tutte ben utilizzate. Tuttavia, nel concreto, chiudere un ospedale, per quanto piccolo e “minore”, è – al di là di ogni retorica – un danno concreto non solo per chi vi lavora ma soprattutto per chi quell’ospedale lo usa. E non è un caso che gli ospedali “minori” siano localizzati in quelle regioni del sud del Paese dove è più facile patire – e addirittura morire – per un ritardato – o addirittura mancato – ricovero. Non è retorica. È che se capita la disavventura di dover andare all’ospedale non è indifferente fare dieci o cento chilometri. Non è indifferente impiegare venti minuti o due ore. Non è tanto indifferente come – ad esempio – impiegare due ore per andare al tribunale o all’università.
Ma – si dirà – la spending review lo impone. D’accordo. Ciò che oggi stupisce tuttavia è che non solo non si siano levate voci isolate ma non si siano levati cori tonanti e accorati per chiedere che, anziché gli ospedali italiani, ad essere tagliati fossero – sempre per fare un esempio – le missioni “di pace” militari che consumano una quantità di risorse inimmaginabili in giro per il mondo ogni giorno.
Può essere che in ciò ci sia una piccola parte – o addirittura una parte massiccia – di sciovinismo (oggi si direbbe con parola più attuale, di “leghismo”). Può perfino essere. A questo bisognava arrivare. Ma è di certo difficile accettare che, di fronte alla scelta se togliere un posto di lavoro a un lavoratore (non per forza italiano) in Italia, o un posto-letto a un degente (non per forza italiano) in Italia, o se togliere una missione “di pace” al popolo afghano, per lo Stato italiano sia più giusto e opportuno togliere il lavoro e le cure in Italia. Tanto più poi che forse al popolo afghano assai di più che la missione di “pace” gioverebbero dei semplici ed efficaci aiuti umanitari. Ma questi forse non ingrasserebbero le alte sfere dell’esercito quanto le missioni di “pace”.
Come si è detto, lo Stato italiano consuma molte risorse, le spreca addirittura. Abbiamo un urgente bisogno di una spending review.
6 luglio 2012