di Marco Biraghi
Scandalo per la sentenza del tribunale dell’Aquila che condanna a sei anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici la commissione Grandi Rischi della Protezione Civile. Gli scienziati sono in subbuglio, gli esperti del settore costernati, buona parte dell’opinione pubblica attonita. Una vera scossa tellurica che smuove dalle fondamenta la sensibilità collettiva. Enzo Boschi, ex presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, si dice disperato per la condanna. Il fisico Luciano Maiani, attuale presidente della commissione Grandi rischi, ha dichiarato: “È la morte del servizio prestato dai professori e dai professionisti allo Stato. Non è possibile fornire allo Stato una consulenza in termini sereni, professionali e disinteressati sotto questa folle pressione giudiziaria e mediatica. Questo non accade in nessun altro Paese al mondo'”.
Può essere che in questo Paese accadono cose che non accadono in altre parti del mondo. Può essere. Può essere che nella sentenza dell’Aquila vi sia la ricerca di qualcosa di “esemplare”, e che proprio perciò abbracci una tesi eccessivamente radicale. Tuttavia, in un Paese in cui può succedere di tutto, in un Paese in cui i terremoti, le frane, le inondazioni si susseguono con scientifica puntualità senza che nessuno faccia alcunché non già per “prevederli” quanto piuttosto per prevenirli, ovvero per evitare che quando disgraziatamente si verificano portino con sé uno spropositato quanto inutile carico di distruzione e di morte; in un Paese in cui un giudice può emettere una sentenza capace persino di scuotere il tranquillo e compassato mondo scientifico, quello che mai e poi mai succede è che qualcuno si assuma la propria responsabilità; senza aspettare le sentenze e le condanne, e neppure le future, probabili assoluzioni.
Per chi avesse un minimo di senso della responsabilità, ciò che è successo all’Aquila il 6 aprile 2009, dopo le rassicurazioni della Protezione Civile, sarebbe potuto e dovuto bastare e avanzare per dichiararsi (allora sì!) disperati, per chiedere perdono, per cospargersi il capo di cenere, per dimettersi dalla propria carica pubblica, per fare harakiri. E invece no. Nulla che abbia sfiorato anche solo alla lontana la coscienza di chi rivestiva una carica pubblica che trovarsi in quella posizione dovesse necessariamente comportare un senso di responsabilità.
Non è colpa degli scienziati e degli esperti se la terra trema. La loro colpa è che la loro coscienza non trema mai di fronte a niente.
23 ottobre 2012