Architettura e lotta di classe

di Marco Biraghi

Sono passati poco più di due anni dalla pubblicazione su Gizmoweb di un editoriale dal titolo L’architettura come mestiere, dedicato agli aspetti del lavoro concreto di architettura. In questi due anni pressoché nulla è cambiato, e semmai le ragioni per occuparsi di questo tema sono urgentemente cresciute.

La buona notizia è che Gizmo ha finalmente iniziato a farlo, attraverso l’indagine #archiworkers. I risultati si vedranno nei prossimi mesi, e saranno determinati dal grado di partecipazione e dall’accuratezza e dall’onestà delle risposte dei compilatori.

Ma non è questo di cui oggi ha senso parlare.

Ciò di cui vale la pena occuparsi sono invece le disuguaglianze che ancora caratterizzano il mondo dell’architettura. Da tempo ormai si è smesso di parlare di “lotta di classe”, per la semplice ragione che – come spesso viene detto e ripetuto – non ci sono più le classi sociali. Ora, è vero che rispetto a qualche decennio fa si sono verificati alcuni fenomeni: vi è stato un certo rimescolamento delle classi, una diminuzione (ma non certo la scomparsa) delle differenze tra esse; la proletarizzazione della classe media; la trasformazione delle masse di lavoratori in masse di disoccupati, con la conseguente polverizzazione del conflitto con i “padroni”; e molti altri ancora.

Indubbiamente la lotta di classe ha subìto uno o più spostamenti: dal conflitto tra la classe proprietaria e quella operaia a quello tra entità padronali sempre più impersonali e una classe dipendente sempre più allargata ed economicamente articolata; a quello tra nazioni ricche e nazioni povere; a quello tra soggetti sociali forti e soggetti sociali deboli (e qui la varietà è sorprendentemente ampia e trasversale). Queste diverse forme di lotta di classe sono a volte meno chiare e lineari, e dunque più difficilmente leggibili. Ma si tratta pur sempre di dinamiche di sfruttamento da un lato, e di oppressione dall’altro.

Vi è tuttavia un campo (non il solo, con tutta evidenza) in cui la lotta di classe è ancora pienamente vigente nelle sue forme tradizionali: forme addirittura ataviche, ovvero letteralmente ancestrali, cioè relative a qualcosa di ereditato dai propri antenati, o più prosaicamente dalla propria famiglia. Nel campo dell’architettura come lavoro concreto le differenze di classe contano ancora, e costituiscono elementi spesso molto più decisivi di quanto non sarebbe lecito e di quanto non si sia soliti pensare.

Se si analizza il panorama architettonico dal punto di vista delle classi sociali di provenienza dei suoi protagonisti ci si accorge che la questione è ancora presente e determinante. È vero che le scuole di architettura oggi presentano un maggior assortimento sociale di quanto non accadesse, ad esempio, negli anni cinquanta o nei primi sessanta, avanti che le università diventassero “di massa”: la difficoltà di accesso per le classi meno abbienti alle facoltà di architettura in quegli anni – che ha avuto come suo riflesso la tendenziale omogeneità e solidalità della componente studentesca, proveniente da un ambiente sociale generalmente elevato – è ormai un ricordo; e malgrado ciò si è ancora lontani da una pari opportunità tra le classi.

Il discorso cambia nel momento in cui dalle aule universitarie si passa al mondo del lavoro. In questo ambito le differenze di classe tornano a farsi sentire. E ciò tanto più in una situazione come quella degli studi di architettura attuali, in cui il lavoro spesso consiste in una prestazione d’opera fornita a titolo gratuito o quasi.

Stando così le cose, per chi appartiene alle classi più disagiate, l’alternativa all’accettazione di condizioni economiche capestro, particolarmente gravose da sostenere, equivale in molti casi alla forzata rinuncia alla propria carriera. Un quadro di obiettiva difficoltà, cui si aggiunge la concorrenza sleale di chi invece può sopportare – sia pure transitoriamente – remunerazioni nulle o soltanto simboliche.

Inutile nascondersi dietro un dito, fingere che il problema non sussista. Finché esisteranno lavori gratuiti o fortemente sottopagati, l’architettura continuerà a essere teatro di una lotta di classe.

4 maggio 2014

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