di Massimo Munari
“Piuttosto che costruire cose pesanti fatte di mattoni, volevo fare cose leggere. In un modo infantile emergeva in me il gusto per le sfide e le contraddizioni. Provate a immaginare qualcosa di estremamente leggero che, ciò nonostante, resta in piedi, come un gioco in cui si tolgono dei pezzi finché la struttura non crolla” (Intervista con Renzo Piano, Parigi, 5 Giugno 2002)
Queste parole di Piano valgono ancora oggi, a ben più di dieci anni di distanza, per avvicinarsi alla lettura di uno degli ultimi interventi realizzati dall’architetto genovese, il museo di scienze naturali di Trento (MUSE). Chiunque visiti la struttura museale infatti rimarrà sicuramente impressionato e allo stesso tempo disorientato dall’equilibrio precario, che sembra appunto sul punto di crollare, delle falde di copertura dell’edificio, piani stagliati contro il cielo, diversi l’uno dall’altro per inclinazione e orientamento. Chi si addentri poi all’interno, non tarderà a provare la stessa sensazione di fronte alla vista del grande vuoto centrale di sei piani, dove le riproduzioni in scala reale degli animali, appoggiate su instabili strutture sospese nel vuoto, invadono lo spazio in modo estremamente scenografico. Il museo è dotato anche di una piccola serra per le piante tropicali, una struttura iper-tecnologica e iper-leggera, che si contrappone volutamente con l’attigua costruzione rinascimentale del palazzo delle Albere, un greve edificio di pianta quadrata, circondato da quattro torri anch’esse quadrate.
E’ proprio questa volontà di intessere relazioni con il contesto a costituire uno degli elementi salienti del progetto: il complesso museale non si esaurisce infatti in sé ma si inserisce all’interno di un grande quartiere residenziale, “Le Albere”, costruito in contemporanea al museo e con il quale sussistono legami sia di tipo formale sia di tipo urbanistico. “Fare città”, così si potrebbe riassumere il senso dell’intero intervento, secondo una modalità già sperimentata dal RPBW in Potsdamer Platz a Berlino.
Nonostante il cantiere debba ancora essere chiuso in tutte le sue parti, con la realizzazione dei restanti (pochi) edifici residenziali, desta amarezza il fatto che, a poco meno un anno dall’apertura effettiva del museo e di tutte le altre strutture del quartiere, siano stati venduti solo una cinquantina di appartamenti rispetto ai 320 totali, circostanza che non può che gettare ombre su scelte urbanistiche incapaci di leggere il momento di crisi economica che il Paese sta vivendo e che renderà impossibile l’occupazione completa di un così elevato numero di nuovi alloggi da parte della popolazione trentina.
11 maggio 2014