3. E tuttavia, “le belle e larghe strade maestre non corrono tutte attraverso grandi boschi? C’è una sola strada che, dopo aver corso per qualche ora nell’aperta campagna, non si perda in un bosco fitto e ombroso?” (R. Walser, Il bosco, 1903). Sulla via della costruzione di un sapere positivo riguardante la Strada, ci imbattiamo in questa domanda paradossale e “gratuita”. Non solo, questa domanda si pone in piena antitesi con quanto affermato come “certezza” poc’anzi. Lungi però dall’imbrogliare le carte poste sul tappeto o dal de-costruire altro che quella pseudo-scienza stradale in cui sin dall’inizio si era negata ogni fede, tale domanda, mettendo a nudo le “concilianti” contraddizioni della Strada, ne rivela pure l’anima più genuina. La sua essenza infatti è tutta intrisa di contraddizioni, di biforcazioni, di esaltazioni e di dubbi, di decisioni e di ritorni.
Così, se la Strada “corre”, la Strada pure “passeggia”. La strada “che passeggia” è la negazione di ogni tensione alla metà, di ogni atteggiamento costruttivo-produttivo, di ogni ben orientato schema di scopo. Essa curva e serpeggia con molta naturalezza, va a zigzag per scansare i tratti più ripidi, per cercare l’ombra; ogni tanto si perde dietro qualcosa, insomma, se la prende il meno possibile (Le Corbusier). E tuttavia essa non è “senza meta”: sua destinazione infatti è il cuore del bosco. L’Holzweg heideggeriano, il “sentiero nel bosco”, insomma, si perde per ritrovarsi.
In ciò la forma del sentiero è contigua a quella del labirinto. Se l’uno è la Strada “che passeggia”, l’altro è la Strada “che si perde”; Strada che però “organizza” lo sviamento e lo eleva a propria massima meta. L’indistricabilità del labirinto corrisponde al completo “piegarsi” della Strada su se stessa e al massimo dis-piegarsi del suo proposito di perdersi. Ma attenzione: quel che nel labirinto” si perde” non è tanto la Strada – ché anzi, nulla più del labirinto formalizza a tal punto la Strada, la individua, la di-segna con precisione geometrica quasi maniacale in ogni suo punto – quanto piuttosto il senso e il fine di essa. Così nel labirinto il centro non rappresenta affatto lo scioglimento, il punto terminale, la meta, bensì tutt’all’opposto il locus complexus (cinto, abbracciato) per eccellenza della via labirintica, il cuore del nodo. Mentre d’altro canto la meta, il punto d’arrivo, coincide esattamente con il punto di partenza.
Se dunque il sentiero è la Strada-Wanderer, la Strada “ aperta” agli innumerevoli giochi del caso, esposta e disposta all’imprevisto, il labirinto è invece la Strada più di ogni altra chiusa, lontana da ogni hasard, da ogni mutamento di rotta, da ogni passo “fuori programma”. Quel che lungo le sue interminabili svolte “si perde” sono le infinite possibilità della Strada.
4. Ma se nelle pieghe del labirinto – schiacciata dagli eccessi della sua forma – la Strada “si perde”, essa si ritrova altrove; al bivio, al crocevia, e ancora di più, alla porta. Qui le Strade “s’incontrano”, convergono. La porta in questo senso è veramente Torweg (F. Nietzsche), porta carraia, porta-via! La porta è l’attimo di riflessione della Strada, il volto della sua meditazione di fronte alla scelta. Infatti, alla porta, la Strada “che s’incontra” decide sempre qualcosa, rompe con l’andamento precedente, sceglie daccapo una direzione, una destinazione, un “destino”. Chiudendosi e riaprendosi, morendo e ri-generandosi in un numero moltiplicato di diramazioni, la Strada “che s’incontra” crea rapporti, si mette in relazione, è “via di comunicazione”.
Figlia primogenita di tale capacità “dialogante” della Strada, di tale forza costruttivo-produttiva dell’incrocio, è la struttura urbana. Infatti, “nel punto in cui più strade significative si incontrano, si forma quasi sempre, inevitabilmente, un importante centro abitato” (H. Tessenow). La città è dove le Strade “s’incontrano”, dove vogliono stare, sostare, dove vogliono avere dimora. Qui il loro divenire si muta in essere, il loro tendere al sempre nuovo e al sempre diverso si trasforma in incessante rimandare a se stesse attraverso percorsi dalle indefinite variazioni, simile al labirinto degenerato, “impazzito”, dove il centro è in-nessun-luogo, e la meta – le mete – dappertutto.
Unico punto fermo, “stella fissa” di questo sistema di incontro e di separazioni è la piazza. Nella piazza la Strada “ si ferma”, è sedata. Anche le correnti stradali più impetuose, convergono in essa come una foce, si placano: nella piazza “tutto è disciolto, tutto si allarga all’infinito” (Endell). Ma la sospensione di movimento della Strada è anche la conditio necessaria affinché lo spazio “occultato”, lo spazio della piazza si renda disponibile, si faccia accogliere-avvolgere, si offra quale luogo di intrattenimento della Strada. La piazza è cioè il luogo, l’Ort, dove la Strada si spiega, ove si fa spazio; e ancora di più: è l’ubi consistam della Strada.
La strada “che si ferma” allora non è semplice spazio vuoto ma, al contrario, è pienezza di spazio, “vivente” presenza dello spazio. Spazio in cui il movimento confluisce e da cui il movimento di diparte, e tuttavia spazio “acquietato”.