di Gabriella Lo Ricco
In psichiatria il termine “dissociazione” indica un disturbo tipico della schizofrenia caratterizzato dalla scomparsa dei normali rapporti associativi delle idee. Tale reazione è ciò che avviene all’interno della 14. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, quando, dopo aver visitato l’esposizione allestita all’interno delle Corderie – Monditalia – si accede al Padiglione Italia, dedicato al tema degli Innesti. Le più interessanti esposizioni di Monditalia riescono a interpretare in modo intelligente tematiche e contraddizioni che hanno caratterizzato e attraversano il nostro Paese e che sono emblematiche di questioni che in realtà oltrepassano i meri confini italiani.
Il Gruppo Folders si domanda ad esempio qual è diventato oggi il significato della nozione moderna di confine; gli stARTT s’interrogano sui modi con cui l’economia e la politica europee influiscono sul destino di quel patrimonio pubblico su cui si è strutturato il modello urbano europeo stesso; Argot e Marco Biraghi mostrano invece attraverso la costruzione di Zingonia, lo scontro tra utopia progettuale e realtà economica, politica e legislativa; diversamente il gruppo composto da Beatriz Colomina, Britt Eversole, Ignacio Galàn, Evangelos Kotsioris, Anna Maria Meister e Federica Vannucci, si concentra su un periodo, gli anni sessanta e settanta, durante il quale la poliedrica attività della cultura architettonica italiana ha permesso al nostro paese di coprire un ruolo di protagonista nello scenario internazionale.
Quando si accede all’interno del Padiglione Italia, nella sezione dedicata alle architetture contemporanee, tutti quei parametri di confronto acquisiti all’interno delle sfaccettate esposizioni di Monditalia vengono meno. In effetti l’esposizione curata da Cino Zucchi opera al di là delle questioni pocanzi esemplificate, partendo piuttosto dal presupposto di esporre quelle architetture che meglio mostrano delle modalità di intervento nella città e nel territorio attente al contesto in cui si opera, ma allo stesso tempo in grado di innovarlo. Per Zucchi la peculiarità della modernità dell’architettura italiana risiede in una precisa sfida progettuale: il confronto/scontro con un ambiente costruito caratterizzato da successive stratificazioni. «Essere contemporanei – afferma inoltre il curatore – vuol dire oggi essere liberi da complessi di onnipotenza, accettando quella pluralità di temi che dobbiamo affrontare per generare un ambiente accettabile». Spostare il discorso sul piano dell’environment – «dove con tale termine non si intende un oggetto ma un modo di indagare l’architettura» – permette a Zucchi di mettere tra parentesi tutte le contraddizioni, le dinamiche, le tensioni della realtà italiana all’interno della quale l’architetto opera. Ciò spiega la natura di quella dissociazione che si percepisce al passaggio da Monditalia al Padiglione Italia e che prende forma anche attraverso i diversi allestimenti: il moltiplicarsi degli interrogativi e delle questioni messe in luce da Monditalia vengono schiacciati dal sintetico tentativo di mostrare le immagini delle diversificate architetture che compongono il paesaggio italiano.
Ma anche una riuscita dissociazione, come tutti i meccanismi di rimozione del resto, reca con sé uno scarto che, nel caso delle Esposizioni in questione, corrisponde con degli interrogativi. Infatti, guardando le immagini delle opere architettoniche esposte nel Padiglione Italia c’è da chiedersi come alcuni dei progetti presentati entrano ed entreranno concretamente in dialogo con quella realtà economica, sociale, culturale, politica e legislativa che fa da sfondo a Monditalia.
L’ambizioso progetto dell’ALER Milano di effettuare il recupero sociale, architettonico ed energetico dell’esteso patrimonio immobiliare che caratterizza la periferia milanese potrà essere portato a compimento? Oppure il progetto pilota per il complesso residenziale di via Russoli elaborato dallo studio Mario Cucinella Architects rimarrà solo un bel rendering?
Passati ormai quattro anni dall’esito del concorso, riuscirà il Comune di Bressanone a realizzare il progetto dello studio ETB per la nuova biblioteca civica in piazza Duomo? Oltre ai permessi dalla Provincia, visto che l’intervento architettonico è previsto su degli edifici non di proprietà comunale, molti altri sono gli impedimenti, tra cui la constatazione che il progetto dello studio ETB non risulta il vincitore del concorso.
Il progetto per la riqualificazione architettonica, paesaggistica e ambientale elaborato dallo studio Clementi Hinners Architects per la Diga Foranea di La Spezia come entra in relazione con l’antistante sito di Pitelli le cui condizioni ambientali gli sono valse sin dagli anni Novanta la nomea di “golfo dei veleni”? Il concorso è stato bandito dall’Autorità Portuale nel 2012 solo per ribadire alla collettività la brillante idea di effettuare delle bonifiche che ancora oggi non sono state portate a termine?
Tali interrogativi non diminuiscono di certo il colto lavoro compiuto da Zucchi, soprattutto se confrontato con le esposizioni degli anni precedenti e se valutato in relazione ai ristretti tempi di realizzazione della mostra. Zucchi, infatti, ha compiuto una scelta, che come tutte le scelte ha comportato una perdita. Una perdita però che in questo caso specifico coincide con quel perno su cui ruota la dissociazione italica che emerge dal confronto tra il Padiglione Italia e Monditalia: nel futuro vogliamo optare per una visione tutto sommato consolatoria dell’architettura che rintraccia la propria responsabilità nella costruzione di un «ambiente accettabile», oppure vorremmo un’architettura che abbia l’ambizione di rappresentare un Paese impegnato a superare i propri limiti – economici, legislativi e politici – nella prospettiva di costruire un patrimonio comune e condiviso?
Oggi è ancora possibile ambire alla seconda possibilità?
Chiaramente non parlarne implica già una risposta: è il primo passo per rimuovere la questione.
9 luglio 2014