Una volta entrato presentai il progetto, tutti sapevano che me lo aveva commissionato Craxi e mi chiesero cosa ne pensava Craxi, io dissi che ne era entusiasta, a quel punto si convinsero tutti, anche se Craxi in realtà non lo aveva mai visto nemmeno una volta il progetto. Alla fine della riunione però ci fu Nesi, che era il segretario amministrativo regionale del Piemonte, che mi disse di lasciare il progetto a lui che poi della realizzazione se ne sarebbero occupati degli architetti locali amici suoi. Io mi infuriai, e replicai: ”Col cazzo! Il progetto è mio e se non lo realizzo io vi trovate un altro progettista!“. Allora Acquaviva mi rincorse per le scale del palazzo e con lui poi si sistemò tutto.
O: Ma quindi Craxi alla riunione non c’era?
P: Eh no. Purtroppo no. Perché era periodo di grande agitazione, avevano rapito Moro e lui era dovuto scendere a Roma. Addirittura non si sapeva nemmeno se si sarebbe fatto oppure no il congresso vista la gravità del momento storico. Mentre stavamo lavorando all’allestimento ed eravamo ormai in dirittura di arrivo mi arriva una telefonata e il tipo dall’altro capo del telefono mi dice: ”Qui BR. Abbiamo minato il palazzetto dello sport, tra mezz’ora ci sarà l’esplosione“. Io gli ho risposto soltanto: ”Grazie, molto gentile ad avvertirmi, arrivederci”. Chiamai poi la polizia con gli artificieri che controllarono tutto e infine, com’era prevedibile, non c’era nulla.
O: In tutto quanti congressi sono stati? Cinque?
P: Sì, dovrebbero essere cinque, poi però in realtà mi occupavo pure degli allestimenti di tutte le conferenze programmatiche. Per esempio nell’89 prima dell’Ansaldo ci fu una conferenza programmatica, in concomitanza con un congresso del PCI, e quindi pensai “cazzo cosa c’è di meglio di mettere il muro di Berlino alla nostra conferenza programmatica?”. Sarebbe stata una bella beffa. Beh ormai i giornalisti ogni volta che stavo per preparare un allestimento nuovo mi rompevano i coglioni tantissimo e pure questa volta continuarono a chiedere con insistenza quale sarebbe stato il prossimo allestimento per il partito e io gli dissi che ci sarebbe stato il muro di Berlino. Loro impazzirono, tutti che chiedevano come facevo ad avere un pezzo del muro, finché non mi chiamò una giornalista della Repubblica che mi disse che aveva chiesto a tutti gli spedizionieri se in arrivo avessero delle parti di muro e tutti hanno chiaramente negato, io gli risposi semplicemente che non c’era bisogno di passare per spedizionieri, visto che noi avevamo le nostre cooperative e arrivava tramite loro. Così nei giorni successivi, nel mio studio con molti assistenti ricreammo il muro, preciso identico, delle stesse dimensioni di quello vero, con gli stessi graffiti, pure con i ferri dell’armatura che uscivano dal finto cemento esattamente contorti come quelli veri. Infine per tutta la conferenza tutti credettero che quelli lì erano veramente gli originali pannelli in cemento del muro, alla fine però non resistetti e rivelai a tutti che era una mia creazione. Il giorno dopo su Repubblica pubblicarono pure una vignetta satirica, con Bettino che regalava a Occhetto un pezzo del muro e Occhetto gli risponde: ”No non lo voglio, è di Panseca!”.
(gli mostriamo una foto di lui Craxi e Berlusconi su di un divano)
P: Ahh qui erano gli studi Mediaset, stavamo girando uno spot elettorale per Craxi tutti assieme e in questo momento ricordo ancora che Berlusconi stava dicendo a Bettino che lo spot non doveva durare più di 20 secondi, questo perché Bettino quando parlava era incontenibile. Alla fine chiaramente si fece come diceva Craxi.
Z: Conosceva pure Berlusconi ai tempi?
P: Sì, l’ho conosciuto quando ancora si occupava soltanto di televisione, da quando è entrato in politica non ho più avuto contatti con lui. L’unica volta che lo incontrai e ci parlai quando già era politico fu ai funerali di Craxi. Lui in quell’occasione mi disse: ”Il nostro amico è morto, chiamami appena torni in Italia che dobbiamo assolutamente fare qualcosa assieme“. Io quando tornai lo chiamai e lui non mi rispose e la cosa finì li.
(tocco il coperchio di una scatola appoggiata su un massiccio tavolo di marmo)
P: Ti piace?
Z: Si, sembra molto bella.
P: Lo sai cos’è questo? è un regalo che Arafat fece a Bettino. È tutta in madreperla questa scatola.
(lui alza la scatola e sul velluto rosso di rivestimento sottostante si leggeva chiaramente:” Regalo di Arafath, Hammamet 1985 firmato Bettino Craxi).
O: Un’altra cosa che ci incuriosiva è il giro di persone, di collaboratori di cui si circondava Luchino Visconti, che poi sono tornate più che mai alla ribalta in tutti gli anni ’80 e ’90, per esempio Zeffirelli o Giorgio Pes…
Z: Sì esatto, abbiamo visto che ha partecipato anche lei con una breve parte nel Gattopardo.
P: Si ho fatto semplicemente la comparsa nel gran ballo. Sì certo mi ricordo di Zeffirelli e Pes. Pes lo conobbi in Sicilia, ora non ricordo più le circostanze.
O: E non ha mai avuto occasione di collaborare con Pes e Berlusconi?
P: No, mai. Ho soltanto lavorato con Bettino, era una persona eccezionale lui. Per dire, un giorno eravamo a Roma, c’era Formica, Massimo Pini, Martelli e chiaramente Craxi, e lui disse che dovevo pensare a un nuovo simbolo, perché ci dovevamo sganciare dal PC, era ora di avere una nostra identità, e io a bruciapelo gli dissi che potevamo utilizzare il garofano, lui chiese perché e io gli dissi che storicamente era il fiore utilizzato da tutti gli antifascisti durante il regime, inoltre agli albori del Partito Socialista venne fondata una rivista chiamata “Il garofano rosso“. Lui si convinse e mi disse di provare a farne un disegno. Così cominciai i primi schizzi del garofano, poi arrivò il congresso di Torino e Bettino mi disse: ”Te lo ricordi il garofano? bene usalo come bandiera per il congresso“, e così nacque il simbolo. Per me e per Bettino il simbolo ormai era già quello, già lì a Torino c’era in grande il garofano e il vecchio simbolo non c’era più. Questo mandò su tutte le furie Formica e Nesi che l’ultima notte prima del congresso passarono a controllare se tutto era stato terminato a dovere, non videro il vecchio simbolo e alle due di notte mi costrinsero a chiamare Craxi, lui rispose ma si spaventò terribilmente perché era molto tardi e in più poco tempo prima Moro era stato rapito dalle BR. Gli spiegai la situazione e lui mi disse di mettere dove c’era spazio il vecchio simbolo in piccolo e così feci, la ditta dovette fare di notte a mano il vecchio simbolo con falce martello e libro e appena prima della mattina riuscimmo mettere pure quel simbolo sulla scena. Da qui in poi nacque ufficialmente il simbolo del PSI.
Le cose che facevo qui le vedevo come mie opere. La differenza che c’è tra gli architetti che progettavano altre cose è che loro si facevano le seghe a inventare nonsocchè, io invece mi divertivo a fare queste cose gioiose. Poi vi devo dire, io sono stato il primo a fare i congressi senza barriere architettoniche. Cioè sul palco c’erano sempre gli scivoli. A Milano per esempio, avevamo un deputato handicappato. Un giorno mi chiamò e mi disse: “quando fai i congressi, per favore, pensa che ci siamo anche noi”. Fatto! Qui c’erano due scivoli, uno a destra e uno a sinistra, ma con poca pendenza sai, si saliva proprio tranquillamente.
O. Aveva qualche collaboratore architetto?
P. No, avevo un ingegnere che mi faceva tutta la parte elettrica.
O. E le strutture..
P. E poi un altro.. che poi no non c’era perché quelli che mi facevamo i ponteggi avevano i loro ingegneri, io gli facevo lo schizzo e loro partivano a fare tutto, erano allestitori e poi facevano il collaudo. Io facevo il collaudo dei materiali che utilizzavo. Quando c’era il collaudo mi chiamavano in 25 persone.
O. Quindi lei gestiva in autonomia la progettazione e la direzione artistica?
P. Ma io stavo lì pure la notte, non me ne fotteva una cazzo, stavo benissimo, mi divertivo.
O. A proposito della questione della fiction è interessante per noi capire la questione del ruolo dell’immagine e della fiction partendo dalla sua opera d’arte fino poi al periodo degli allestimenti per il PSI.
P. Quando io facevo gli allestimenti inventavo un simbolo. La piramide, il Tempio o l’ultimo che ho fatto a Bari dove avevo fatto la porta della pace. O il muro di Berlino. Cioè io andavo ad afferrare qualche cosa che era nella mente di tutti in quel momento, che era di attualità. E su questo costruivo qualche cosa per poi trasmetterlo agli altri.
Z. Per esempio perché in quello specifico contesto la piramide?
P. Ma perché ero stato in Egitto, mi erano piaciute le piramidi…
Z. Mentre la discoteca a Verona era….
P. A Verona lo spazio era tristissimo, grigissimo. Vedete a Rimini ho visto le colonne e ho detto ”faccio un Tempio”. Invece a Verona c’era questo padiglione non molto alto ma veramente triste. Non c’erano finestre. Era tristissimo. Allora ho detto: “adesso lo riempio di specchi e faccio una specie di anfiteatro”. Ma farlo circolare era un casino e quindi ho fatto un ottagono, ed è venuto benissimo devo dire.
Z. Quando ha fatto la piramide non era preoccupato del simbolismo massonico che la stampa avrebbe potuto vedere?
P. Ben venga! ma ben venga! Quello era un simbolo, ci puoi vedere quello che vuoi. Invece che usare uno schermo rettangolare come di consueto usai il triangolo che era sia decorativo che funzionale.
O. Ma dava lei i nomi alle strade? sceglieva lei la toponomastica per le “strade” all’interno dei congressi?
P. Sì però quando mi finivano i nomi, iniziavo usare garofano bianco, garofano rosso, garofano verde.
O. Come li sceglieva?
P. Eh beh, ho preso tutti i personaggi socialisti e li ho ficcati dentro. Compresa la Belisario che era socialista ed era morta da poco e quindi le ho dedicato una strada. Anche nomi che ti sollecitano ricordi politici. Bettino voleva assolutamente il Quarto Stato di Pelizza da Volpedo per il congresso così sono andato in comune però mi dissero che non si poteva perché per farlo entrare avevano rotto una parete. Così dissi a Bettino che non si poteva fare. Decidemmo di farlo fare falso. Ho trovato un gruppo di pittori quelli che fanno i falsi, i falsari di professione. Incontrai uno e gli dissi: “tu te la senti di fare il Quarto Stato?”. Lui mi disse: “quanto tempo mi dai?”. “Una settimana”. E lo fece. Poi esposi anche il vero cartone del Quarto Stato che fece Pelizza da Volpedo. Poi venne Ceruli che aveva fatto il quarto stato anche lui. Quindi ce n’erano tre.
O. A proposito di Quarto Stato abbiamo visto una pubblicità-manifesto di propaganda con un’immagine rifatta sul Quarto Stato, ma aggiornata alla società contemporanea.
P. Ah si quella l’avevo fatta io.
Z. Oltre a Pansa anche Michele Serra ce l’aveva con lei.
P. Sì anche Serra ce l’aveva con me, ma volete sapere qual è la cosa divertente? Un giorno mi chiama un tizio che voleva vedere l’appartamento che affittavo all’Arena, ora non c’è l’ho più. Siccome costava tipo €3000 al mese gli chiedo “sì, ma scusi, lei di che cosa si occupa?” (Io serra non l’avevo mai visto in faccia) mi dice “sono un giornalista”. Io gli chiedo “un giornalista della carta stampata?” Lui risponde “anche”. “Come si chiama?” “Serra” risponde. “Serra Michele? Col cazzo che te la do la casa!” E lui rispose “Come?! Ma lei chi è?” “Sono Pippo Panseca”. E la sua compagna disse “Ma ogni volta che andiamo da qualche parte ce l’hanno con te!”. Alla fine gli affittai la casa. Mi disse: “pensa i giri della vita, adesso sto lavorando per Stefania Craxi (Endemol, Che tempo che fa, ndr) e vivo in casa di Panseca.
Z. Lei ha ancora disegni degli allestimenti?
P. Con i disegni ho avuto una sfiga della madonna. Anni fa sono venuti due studenti del Politecnico di Torino. Volevano fare una tesi sugli allestimenti dei congressi socialisti. Io da buon imbecille gli ho dato tutti disegni.
O. E non li ha più avuti indietro?
P. No. Se li sono fottuti tutti sti stronzi. E non ho manco visto la tesi alla fine.
Z.O. Ah! che peccato!
O. Lei partecipava attivamente alle conferenze programmatiche e ai congressi del PSI?
P. Ero in contatto, in quanto organizzatore e progettista, con il servizio d’ordine. Quindi se c’era qualcosa chiamavano me. Io quindi stavo lì vicino al palco in piedi però quando Craxi si alzava per parlare io prendevo il suo posto perché nessuno osava sedersi lì. A me nessuno diceva niente. Tanto ero fuori dal giro.
Z. Quindi secondo lei l’allestimento di Rimini è uno dei più riusciti?
P. Sì quella e ovviamente l’Ansaldo. Poi, vedete, Trussardi fece i vestiti per tutti. Le hostess avevano dei completi Trussardi con i miei garofani rossi stampati.
Z. Quindi Trussardi era un socialista.
P. Eh certo!
Z. (Guardando un disegno appoggiato su un tavolo in studio). Questo mi ricorda qualcosa del Codex di Serafini…
P. Lo sai che l’ho inventato io Serafini!
Z. Come?
P. Luigi? Luigi studiava architettura a Roma e veniva sempre nello Studio nostro. Ma io non lo conoscevo e mi dissero: “Sai questo ragazzo fa delle cose interessanti”. Me le mostrò. E dissi: ”cazzo sono belle!”. Tutti questi disegnini con le verdure, con le cose… Allora io avevo questo ristorante qui che vi dicevo, la spaghetteria.
Z. Che anno era?
P. Era il 77, il 78. Lo invitai a Milano e gli dissi che l’avrei ospitato e che gli avrei fatto una mostra. Lui venne a Milano, gli diedi il mio studio, che era dietro il ristorante, tanto io ne avevo un altro, quindi gli dissi di stare pure lì. Portò i disegni e preparammo l’allestimento della mostra. La sera della mostra mi chiama il cameriere del ristorante e mi dice: “signor Filippo la mostra montata è sparita!”. Io risposi: “come non c’è più la mostra!?”. Mi precipitai al ristorante ma non c’era più neanche un quadro. Io chiesi: “ma dove sono tutti?”. Mi disse che il signor Luigi non c’era più. Dopo un po’ mi suona il telefono ed è Luigi. Mi dice che non voleva più fare la mostra, che aveva paura e che non voleva farla. Io mi incazzo e gli dico: “senti Luigi, ci sono gli inviti stampati. Fra due ore arriva la gente! E che ci metto io?”. Gli dico: “tu sei uno stronzo! Ora io sto andando nel mio studio e se quando torno non c’è niente sono cazzi tuoi, non cazzi miei. Allora andai in studio. E al mio ritorno tutta la mostra era montata di nuovo.”
Ora, io avevo un amico che faceva riviste pornografiche. Io gli dico: “ascolta, fai una cosa più alta, fai un catalogo, una pubblicazione per questa mostra al mio ristorante di questo ragazzo.” Mi disse: “ma quanto vuole?”. Io portai Luigi che nel frattempo si era rincuorato e mi aveva chiesto scusa e gli fece firmare il contratto. Non mi ricordo quanto gli avrebbe dato ma avrebbe pubblicato il libro.
Z. Il Codex Seraphinianus?
P. Si si! Il Codex! Successivamente venne da me Franco Maria Ricci e mi disse: “Sarei interessato a pubblicarlo”. Però ormai il contratto era firmato con il mio amico produttore pornografico. Luigi disse: “però sai, Franco Maria Ricci è un ottimo editore…”. Io gli dissi: “Luigi non ti preoccupare, io lo facevo per te però possiamo annullare il contratto col mio amico e lo facciamo fare a Franco Maria Ricci”. Il mio amico strappò il contratto e la pubblicazione fu curata da Franco Maria Ricci. Poco dopo vidi il libro in libreria ma non vidi più per vent’anni Luigi. Una sera mi invitano a una cena e una signora mi dice: “Le tue cose mi piacciono! ma tu per caso conosci Luigi Serafini?”. ”Certo! Luigi!”. Lei lo chiamò e me lo passò al telefono. Io gli dissi che poteva anche ringraziarmi quando uscì il libro. Lui poi venne qui e me ne portò una copia. Ma erano passati vent’anni!
Non più tardi di un mese fa mi arriva una e-mail dal Giappone. Era Luigi. Mi ha mandato una sua fotografia con una scritta in giapponese che chiaramente non riuscii a leggere. Risposi che non potevo leggere quello che c’era scritto ma che gli facevo tanti auguri.
Z. Bari fu l’ultimo congresso o sbaglio?
P. Sì. Il Congresso della canottiera. C’era vento di scirocco e faceva molto caldo, era estate. Siccome l’ambiente non era climatizzato quando Craxi fece il discorso di chiusura sudò talmente tanto che si vedeva la canottiera: da lì il congresso della canottiera. Dissero che io non avevo messo l’aria condizionata e che quindi si vedeva la canottiera.
Z. Perché l’arcobaleno?
P. In quel periodo c’era uno scontro tra comunisti e socialisti e quindi doveva essere un segno di pace. Feci la porta della pace pensando che si potesse fare qualcosa. Poi non si fece niente. Poi ci doveva essere il congresso di Genova che non era un vero congresso. Era per il centenario del partito. Poi non si fece.
Z. Però c era un progetto?
P. Io volevo fare l’uovo di Colombo. Un grande uovo da cui si materializzavano le immagini. Un grande uovo messo dietro da cui, quando parlava qualcuno, si vedevano le immagini.
O. Era previsto per che anno?
P. Era il 92, ma poi, dopo il 91, ovviamente non si fece più nulla.
L’appartamento di Filippo Panseca fotografato da Andrea Piovesan
Milano, 10 aprile 2015