di Marco Biraghi
Ci sono storie e storie. Ci sono grandi storie e piccole storie. Quella di Gizmo appartiene indubbiamente alle seconde; e ciò nondimeno – a modo suo ed entro i suoi limiti – si tratta di una storia emblematica.
Nato nel 2004, senza alcun appoggio istituzionale e con ben pochi mezzi a disposizione, dalla volontà di quattro persone di realizzare un gruppo impegnato in studi, ricerche e iniziative a carattere storico-critico dentro l’università ma senza il gravame di un atteggiamento accademico, Gizmo – costituitosi ufficialmente nel 2005 come associazione culturale – in questi dieci anni ha sempre perseguito l’obiettivo che si era inizialmente prefissato: esercitare la storia e la critica (dell’architettura, e non solo) rompendo l’isolamento in cui sono spesso confinati gli studiosi, organizzandosi in modo orizzontale, cercando di socializzare i saperi e condividendo fini e metodi delle proprie ricerche. E soprattutto, mantenendo la propria libertà intellettuale, ovvero l’indipendenza da ogni volontà esterna o sudditanza al “potere”.
Nel corso del tempo Gizmo è mutato pur rimanendo se stesso: ha rinnovato i suoi membri, facendo entrare collaboratori più giovani, e ha fatto spesso ricorso – per la realizzazione di progetti specifici – al contributo di studenti e studiosi. Ha organizzato mostre, dibattiti, attività culturali anche al di fuori dell’ambito universitario. Ha aperto un sito web che – pur senza avere le forze e l’ambizione di proporsi come una vera e propria rivista – ha cercando di mettere a fuoco alcune fra le questioni architettoniche che oggi meritano di essere interrogate, non con intenti puramente “filologici” o informativi ma con la convinzione che la conoscenza (anche quella storica, di un passato più o meno recente) oggi abbia un valore sociale e politico. Praticando l’onestà intellettuale e per quanto possibile l’obiettività, ma non mancando mai di assumere una posizione, Gizmo si è conquistato un piccolo ma significativo posto nel panorama della critica architettonica odierna.
Recentemente Gizmo ha raccolto i propri obiettivi ed intenti nel manifesto Fundamentals (2015). Gli esiti dei suoi sforzi di studio e ricerca sono invece verificabili nei volumi Italia 60/70. Una stagione dell’architettura (Il Poligrafo, Padova 2010), MMX. Architettura zona critica (Zandonai, Rovereto 2010), Guida all’architettura di Milano 1954-2015 (Hoepli, Milano 2013-15), Milan Architecture Guide 1945-2015 (Hoepli, Milano 2015).
Oggi Gizmo celebra il decennale dalla propria fondazione con tre eventi culturali: un’installazione nell’atrio della Scuola di Architettura e Società del Politecnico di Milano (Histories of the Immediate Present, 3-9 giugno), un convegno nell’aula magna della stessa Scuola (Backstage. L’architettura come lavoro concreto, 9 giugno), e una mostra fotografica all’Ordine degli Architetti P.P.C. della Provincia di Milano (Contrasts. Architetture milanesi a confronto, 11 giugno-10 luglio). Si tratta di tre eventi di genere e carattere molto diversi: Histories of the Immediate Present, “ricostruendo” l’Atelier Beistegui di Le Corbusier, realizzato a Parigi alla fine degli anni venti (uno spazio altamente surreale prodotto nel cuore della modernità), e collocando al suo interno alcuni fotomontaggi riferiti a opere e figure del panorama architettonico dell’ultimo secolo, ha un intento ironico e critico; Backstage. L’architettura come lavoro concreto intende invece affrontare – con la massima serietà e con il supporto di autorevoli relatori – uno dei temi più rilevanti e scottanti dell’architettura odierna: la trasformazione della figura professionale dell’architetto negli ultimi anni, che sta avendo tra le sue conseguenze il modificarsi profondo della concezione del progetto, e il sempre maggiore sfruttamento dei lavoratori del settore; Contrasts. Architetture milanesi a confronto, nell’accostare fotografie di edifici di epoche diverse ma comparabili tra loro sotto altri aspetti, ha infine uno scopo documentario ma anche storico-critico.
La multiformità di questa offerta, oltreché dell’interesse per questioni di natura differente, vuole testimoniare della volontà di Gizmo di oltrepassare gli specialismi e gli steccati disciplinari: non pertanto un semplice richiamo alla “multidisciplinarietà” (uno dei miti da sfatare, anzi, quest’ultimo), quanto piuttosto una forte reazione all’idea – e alla pratica – dei saperi contemporanei in cui, come in una grande catena di montaggio del lavoro intellettuale, ciascuna “mansione” viene distinta e separata da ogni altra. Al contrario Gizmo è convinto della necessità del possesso di specifiche competenze, da un lato, ma anche, dall’altro, della necessità di istituire un dialogo tra ambiti tra di loro prossimi o comunque in relazione: unico modo per ricostruire accertabili e comprensibili orizzonti di senso.
Tutto ciò non sarebbe neppure lontanamente pensabile se il lavoro di gruppo (del “collettivo di ricerca”, come lo abbiamo spesso chiamato) non presentasse al tempo stesso delle difficoltà che sono l’immagine speculare dei vantaggi che comporta: ma è proprio dalla difficoltà a lavorare in un team e ad accordare punti di vista, esperienze, ruoli e saperi diversi, che scaturiscono i risultati più interessanti e sorprendenti. Né questi sarebbero ottenibili in assenza dell’ironia e autoironia che Gizmo cerca sempre di porre nei propri lavori: componente essenziale per “prendere distanza”, per “relativizzare”, rovesciando prospettive ed attese.
Con serietà e leggerezza, dunque, in questi dieci anni Gizmo ha cercato di mantenere al centro del proprio interesse – al di là della singolarità e specificità delle occasioni – l’importanza del lavoro culturale come lavoro critico; nella consapevolezza del valore che un atteggiamento critico assume in un mondo che è sempre meno propenso a esserlo. Un osservatorio critico: questo, almeno nelle sue aspirazioni, vorrebbe essere Gizmo. Perché ce n’è (ancora) bisogno.
18 maggio 2015