di Ilaria Pittana
“Una volta entrati, lo sguardo si concentra sulla prospettiva inquietante e pressoché infinita dei ballatoi, un punto di fuga costante e sfuggente che ci risucchia in una sorta di moto perpetuo un lento scivolamento nel vuoto accompagnato dai rumori e dalle voci invisibili degli abitanti del Nuovo Corviale[…]” (Flaminia Gennari Santori e Bartolomeo Pietromarchi, Osservatorio Nomade Immaginare Corviale , Bruno Mondadori 2006).
Il 7 settembre 2015 si è svolto il sopralluogo al Corviale in occasione del concorso indetto quest’estate dall’ATER (Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale) del Comune di Roma per rigenerare il complesso disegnato nel 1972 dalla squadra di progettazione capitanata da Mario Fiorentino.
Per alcune ore il silenzioso gigante di cemento è stato così preso d’assalto da curiosi visitatori – provenienti per lo più da Roma e dintorni – che con le loro macchine fotografiche e smartphone hanno immortalato ogni suo angolo visitabile, in un viaggio alla (ri)scoperta di quegli spazi che nel bene e nel male hanno reso famosa la “diga insicura”, come l’ha battezzata Manfredo Tafuri (Diga insicura, sub tegmine fagis…, in “Domus”, n. 617, maggio 1981). E proprio grazie a questa visita il colosso grigio è uscito per un momento dal suo stato di quiete abituale: dal basamento alla copertura, dalle scale monumentali ai ballatoi, i visitatori si sono lasciati guidare all’interno dell’edificio attraversandone gli oscuri ambienti dall’estetica piranesiana.
Il titolo della competizione in atto, “Rigenerare Corviale”, è da intendersi più come “(Ri)progettare Corviale,” in quanto il complesso, frutto di una ricerca già tarda (cfr. Franco Purini, Un chilometro di correzioni, in “Domus”, n. 886, novembre 2005) e impensabile nell’Italia dell’epoca, in realtà non ha mai avuto la possibilità di funzionare. E basandosi proprio su questo presupposto, l’obiettivo del concorso è quello di rendere operativo il chilometro: ogni proposta deve puntare a migliorare la qualità urbana dell’intero complesso risolvendo tutte quelle problematiche che caratterizzano il serpentone fin dall’inizio della sua esistenza. Nello specifico viene chiesto di riprogettare il basamento (piano terra e quota garage) tramite il disegno di spazi comuni, guardando a quello che nel progetto di Fiorentino era il piano libero di ispirazione lecorbuseriana; le sale condominiali, unici frammenti di spazio pubblico rimasti nel piano libero (occupato abusivamente mentre i lavori di costruzione non si erano ancora conclusi); le connessioni verticali e orizzontali, e la copertura, assieme all’elaborazione di un masterplan che cerchi di risolvere anche l’intorno e riconciliare finalmente l’astronave alla sua città.
Inoltre, andando al di là degli aspetti puramente architettonici ogni gruppo di progettazione si dovrà avvalere di un sociologo e di uno o più artisti. Parti integranti del progetto sono infatti, da un lato la rielaborazione della segnaletica dell’edificio, unita a interventi artistici con l’intento di migliorare la qualità degli spazi pubblici riscattandoli dallo stato di anonimato e serialità in cui si trovano ora; e dall’altro la redazione di un piano partecipativo in vista di un processo di riappropriazione del Corviale da parte degli abitanti.
In realtà durante il tour i contatti con gli inquilini di Corviale (che peraltro non erano stati informati della visita) sono stati limitati. La sensazione è quella di essere davanti a un enorme blocco monolitico abitato silenziosamente nelle sue cavità. Gli abitati infatti sembrano restii a passeggiare tra gli oscuri ballatoi o sostare sulle fredde panchine di cemento. I corvialesi però ci sono e ne sono testimoni le numerose iniziative organizzate dagli abitanti stessi in questi anni, dalle quali sono emerse le enormi potenzialità dell’edificio ma anche la necessità di delineare i presupposti per un nuovo tipo di abitare a Corviale.
Mettendo da parte ogni facile contemplazione estetica del mega-edificio e passando invece a una strategia che punti alla riattivazione degli spazi pubblici, veri punti deboli del complesso, il progetto potrebbe così dar vita a frizioni e a elementi di contrasto propri della città-nella-città a cui aspirava in origine, risolvendo in questo modo il problema della monofunzionalità.
Al di là della linea puntuale tracciata dal concorso – la strada urbana che dovrebbe risolvere l’intero complesso – sarebbe quindi più giusto domandarsi come in via generale si possa dotare il Corviale dello spazio pubblico di cui ha sempre avuto bisogno, correggendo così quello che è stato definito l’errore lungo un chilometro. In altre parole bisogna chiedersi se la mera operazione di traslare a pianoterra le funzioni “urbane” del piano libero mai esistito sia realmente sufficiente. Trovando risposta a queste domande si potrà forse finalmente risolvere l’enigma del monotono serpentone.
15 ottobre 2015