Il secondo progetto che riceviamo dall’ormai morente scuola di Bovisa del Politecnico di Milano si discosta parecchio dall’idea di “scuola di tendenza” quale fu in principio. Nicola Russi, già allievo di Cesare Macchi Cassia, prosegue le orme di un pensiero sull’urbanistica che poco ha a che vedere con la tradizione a cui si riferivano i padri fondatori della scuola in oggetto. Questo certamente racconta di una trasformazione che la scuola stessa ha subìto negli anni, di un’apertura (probabilmente inevitabile) a portatori sani di idee diverse, e soprattutto parla di un (tanto atteso) ricambio generazionale.
Gli studenti propongono un progetto ragionato e ambizioso, non del tutto comprensibile a un primo sguardo, caratterizzato da una risoluzione grafica accattivante e molto contemporanea (altro che i pantoni di Giorgio Grassi!). Certamente si tratta di un lavoro che si approccia con serietà al tema affrontato, così come gli autori dello stesso rispondono con altrettanta serietà (e una punta di snobismo) alle nostre domande.
FA
Studenti: Giuseppe Campo Antico, Alessandro Gloria, Francesco Tincani
Docente titolare: prof. Nicola Russi
Politecnico di Milano | Scuola di Architettura Civile
Corso di Laurea in Architettura delle Costruzioni
Laboratorio di progettazione urbanistica | A.A. 2014-2015
Laboratorio annuale (con due progetti)
Valutazione progetto 30
Descrizione di Progetto
Cymothoa Exigua è un parassita dei pesci in grado di sostituirne la lingua e le inerenti funzioni, diventando organo di vitale importanza. Allo stesso modo le superfetazioni, le folie, e le demolizioni attuate nel progetto si configurano come aggressioni di un costruito ormai incapace di adempiere alle proprie funzioni. Gli edifici una volta “aggrediti” non sono più in grado di rinunciare al loro “parassita”.
Genova, città che vive una stasi critica tra potenziale inespresso e disastro economico, deve affrontare il problema di una super-infrastruttura che la spacca in due nel suo punto più delicato, tra la città storica e il waterfront.
Il primo passo di riappropriazione dello spazio avviene tramite il riconoscimento dell’infrastruttura come causa secondaria – non primaria – di uno spazio frammentato, poiché tutto ciò che sta sotto alla Sopraelevata ne è la vera causa. Tra i numerosi progetti ipotizzati per il Ponte Parodi negli anni, si è sempre lavorato sulla tabula rasa, senza riconoscere il valore storico o simbolico che alcuni edifici (ad esempio il silos Hennebique) rappresentano per la città.
Il progetto si propone di ricucire il tessuto frammentato e di “lavorare al di sotto” della sopraelevata, considerando solo l’ingombro dei suoi pilastri a terra. Il metodo utilizzato per dare nuova vita agli edifici cerca inoltre di portare alla coscienza collettiva possibili alternative a un assoluto stato di abbandono o a una tabula rasa: ribalta il principio dell’architettura cannibale per il quale la costruzione indiscriminata viene prima del più logico processo di riconversione.
In un ulteriore livello di progetto si è ipotizzata una strategia di rivalutazione del tessuto dei vicoli che dividono Via Balbi e la stazione di Genova Piazza Principe dal waterfront. Questa strategia più utopica e dilatata nel tempo fa uso di livelli sfitti di edifici affacciati sui vicoli e strutture che occupano l’intera sezione stradale per moltiplicare la superficie pubblica della strada in senso verticale.
1) Quali sono i punti di forza che caratterizzano l’insegnamento della vostra scuola di appartenenza?
L’unanimità di pensiero che ha caratterizzato la scuola nei suoi inizi ha lasciato negli anni più spazio a un’interpretazione eterogenea della pratica architettonica. In questo senso riteniamo che la possibilità di ricevere educazioni estremamente diverse all’interno della stessa istituzione rappresenti sia il suo punto di forza, sia la sua debolezza.
2) Quali sono invece gli aspetti carenti? Che cosa non vi soddisfa, e che cosa vorreste che la vostra scuola vi facesse approfondire maggiormente?
Riprendendo le fila della risposta precedente, la possibilità di fronteggiare approcci così diversi lascia spazio a fragilità interpretative nell’istruzione di nuovi progettisti. Rimane comunque il fatto che un’egemonia di pensiero non costituisce un ambiente fertile nel quale sviluppare le proprie inclinazioni.
3) Ritenete che il metodo di insegnamento del progetto sia legato principalmente al docente del laboratorio, o riconoscete un’impostazione più generale della scuola alla quale i docenti si riferiscono?
L’attenzione al progetto dello spazio pubblico e al valore del contesto in quanto “background” sul quali i manufatti architettonici vengono proiettati sono da ricondurre nello specifico al laboratorio. L’influenza di questo approccio, supportata dal valore aggiunto dato dagli insegnamenti della scuola, hanno determinato l’attitudine del progetto nei confronti dell’area e di conseguenza il suo esito. Il progetto prende le mosse da una corrente di lettura e di progetto dello spazio pubblico nella città portata avanti dal laboratorio.
4) A vostro avviso, il progetto inviatoci è stato valutato correttamente dalla vostra scuola?
Un progetto non può essere definito da una valutazione, così come quest’ultima non è specchio dell’esito specifico ma di un percorso progettuale. In questo senso progetto e valutazione si collocano su due piani distinti e non direttamente comparabili. Al di là di questa considerazione generale crediamo che il progetto sia stato compreso e apprezzato nei suoi aspetti.
5) Lo ritenete il frutto dell’insegnamento ricevuto nel laboratorio di progettazione da voi frequentato, o dell’impostazione della scuola, o riflette piuttosto un vostro personale punto di vista progettuale o una vostra particolare ricerca?
Sia la ricerca personale, sia l’influenza dei metodi analitici approfonditi all’interno del laboratorio hanno consentito di arrivare a tale risultato. Distinguere quale approccio abbia prevalso risulta difficile così come il valore di un tutto è diverso dalla somma delle singole parti.
14 gennaio 2016
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