di Carla Rizzo
La XXII edizione della biennale nomade di origine olandese arriva nel capoluogo siciliano lo stesso anno in cui la città viene nominata Capitale Italiana della Cultura.
I due fitti programmi di manifestazioni ed eventi culturali si intrecciano e si sovrappongono, partendo da quelle premesse comuni che hanno fatto sì che Palermo divenisse luogo ideale e simbolo di atteggiamenti al giorno d’oggi necessari, in un clima politico e sociale generalmente controverso e ostile; una città la cui ricchezza è riconosciuta in quanto il frutto di dominazioni millenarie, di arrivi e partenze, di accoglienza e scambio.
Capitale della Cultura, e delle culture, la città tutto-porto viene scelta da Manifesta per il suo sensibile riguardo nei confronti di temi quali l’immigrazione e le condizioni climatiche, e per le sue forti connessioni da sempre stabilite con i territori dell’Africa del Nord e del Medioriente, luoghi oggi centrali nel discorso circa i flussi migratori.
Manifesta12 è senz’altro l’occasione ideale offerta alla città per mettersi alla prova e, ugualmente, per mostrarsi a un nuovo tipo di spettatore, internazionale e intellettuale, non il solito turista incuriosito da una bellezza etnico-folkloristica diffusa, mista ad invitante e pittoresca fatiscenza.
M12, forse più che Palermo Capitale della Cultura Italiana, ha portato in città un circuito artistico determinato, e questo, a dire il vero, non è il fatto stupefacente, perché come scrive Roberto Alajmo “il rinascimento di Palermo continua senza soste. E anche senza risultati, beninteso”1.
La precedente affermazione è comprensibile; la città ha accolto i visitatori di M12 provenienti da tutta Europa, se non anche dagli altri continenti, con grande entusiasmo, seppur in un momento storico di caos generale sotto molti aspetti.
In primis, i lavori infrastrutturali per l’ampliamento e l’integrazione del trasporto pubblico, ovvero per la metropolitana automatica leggera, per le nuove linee tramviarie e per il passante ferroviario, conferiscono a Palermo l’aspetto di un cantiere totale.
Dalla Statua al Politeama, passando per la via Francesco Crispi, snodo fondamentale per i flussi di traffico che si riversano dall’area portuale per entrare in città, le modifiche di percorso e dei sensi stradali, così come transennature e divieti, sono onnipresenti.
Ma se il cittadino palermitano si domanda quotidianamente quando sarà possibile fruire del nuovo piano del trasporto pubblico, che a ben vedere prometterebbe una soddisfacente alternativa all’automobile, il visitatore di M12 non appare turbato dal delirio che avvolge la città.
Una buona parte delle manifestazioni previste sono infatti localizzate all’interno del centro storico di Palermo, ormai delimitato da una nuova area ZTL che consente il parziale attraversamento pedonale degli assi cardinali su cui è imperniato lo sviluppo della città vecchia, la via Maqueda e il Cassaro, insieme alle principali piazze e vicoli dello stesso centro storico.
Fra le main venues, oltre i numerosi e meravigliosi palazzi nobiliari messi a disposizione della biennale, la Chiesa di Santa Maria dello Spasimo, l’Orto Botanico e la Piazza Magione, dove, all’interno del Teatro Garibaldi, si ritrova anche la sede centrale di Manifesta, incuriosisce soprattutto la presenza di qualche location a suo modo controcorrente, rispetto al panorama sopracitato di luoghi assolutamente iconici per la città di Palermo.
Si tratta infatti dello Z.E.N. (Zona Espansione Nord), noto quartiere di edilizia popolare realizzato nella periferia nord di Palermo, a partire dal 1969 per opera dell’IACP e sul controverso progetto di Vittorio Gregotti, Franco Amoroso, Salvatore Bisogni, Hiromichi Matsui e Franco Purini, e del rilievo di Pizzo Sella, la vetta più alta del vasto promontorio roccioso denominato Monte Gallo, compreso fra il borgo marinaro di Sferracavallo e il Golfo di Mondello, e con asse orientato sudovest-nordest.
Due luoghi della città dal difficile attraversamento: non si avranno infatti molte buone ragioni per visitarli a prescindere dalla possibilità di dover tornare a casa da quelle parti; due luoghi che senz’altro non godono di ottima fama, e che il palermitano medio tende, con ogni probabilità, a non considerare.
In particolare, è la scelta operata da parte del collettivo belga Rotor che desta maggiore curiosità, e la volontà di lavorare proprio su quella che comunemente, e con grande disprezzo, viene indicata come la “collina del disonore”.
La stagione politica inaugurata a partire dal 1958 dai collusi Salvo Lima e Vito Ciancimino, rispettivamente sindaco di Palermo e assessore ai Lavori Pubblici, comportò il cosiddetto “sacco di Palermo” e nello specifico, con l’approvazione nel 1962 del nuovo piano regolatore, si sancirono definitivamente i termini dello sviluppo della città soprattutto a nord, verso la Piana dei Colli, ovvero quella successione di bassi monti – Monte Pellegrino a est, Monte Gallo a Nord e Monte Billiemi più a ovest – che come anfiteatro circondano Palermo.
Tale indirizzo di espansione, come ha evidenziato T. Cannarozzo, è da considerare in parte in relazione ad alcuni vincoli urbani localizzati a sud-est della città, quali la Stazione Centrale e la Valle dell’Oreto, ma fu ugualmente veicolato dalla presenza di un’importante roccaforte mafiosa nei territori agricoli sud-orientali di Ciaculli, Santa Maria di Gesù e Croceverde-Giardini.
Così, mentre a sud-est si svolgevano le attività illecite della mafia palermitana, capeggiata in quegli anni da Michele Greco, dall’altro capo della città si avviava una grande operazione di speculazione edilizia, di cui la vicenda della collina di Pizzo Sella, avvenuta intorno alla fine degli anni ’70, rappresenta dunque l’estremo atto predatorio di un paesaggio destinato al definitivo sconvolgimento.
La storia delle licenze illegittime rilasciate, degli esposti anonimi, dell’intervento della magistratura e del consecutivo lungo iter processuale, del sequestro e dei condoni, fino alla definitiva revoca della confisca con annesso risarcimento dei danni da parte del Comune è ben documentato nell’articolo di recente pubblicazione “Palermo. Rileggere Pizzo Sella per un presente diverso”.
A Pizzo Sella dunque il risultato è una inquietante convivenza di villette scampate al sequestro, énclave recintate dai nomi suggestivi, abitate da famiglie benestanti, non si sa quanto consapevoli della precarietà giuridica del proprio habitat 2, e fatiscenti scheletri edilizi.
Rotor, collettivo belga di architettura fondato nel 2005, particolarmente sensibile alle tematiche del riuso e della sostenibilità, propone per Manifesta12 il proprio contributo dal titolo Da quassù è tutta un’altra cosa, nella definizione di un “intervento ambientale, tecnica mista”.
In un’intervista rilasciata, Rotor afferma di voler “trasformare Pizzo Sella in una gigantesca macchina per cambiare la prospettiva su Palermo”.
Questo il nobile intento del collettivo, riportare l’attenzione su un luogo altrimenti noto esclusivamente per i tristi attributi accumulati nel tempo e la storia dietro essi celata, e di conseguenza rivalorizzare ciò che da quel luogo è possibile esperire.
Ovviamente la scelta del contesto si accompagna a tutte le difficoltà del caso, ed inevitabilmente sarebbe stato più “facile” esporre in uno dei privilegiati ambiti del centro storico.
Nell’apposita App della biennale lo Z.E.N. e Pizzo Sella sono le uniche due venues per le quali nella mappa non viene riportato un indirizzo preciso, forse perché è evidente che qualsiasi visitatore dovrebbe essere in grado di conoscere la strada per accedere alle segregate insule del primo, o di stabilire quale dei molteplici accessi alla collina sia il più confortevole.
Oltre ciò, per depistare l’audace visitatore che ha scelto di avventurarsi in questi improbabili luoghi, sul sito web di M12 si legge che la visita a Pizzo Sella “è possibile solo previa prenotazione di un tour con uno dei Giardinieri di Manifesta 12” o ancora che “la rappresentazione di Da quassù è tutta un’altra cosa è esposta a Palazzo Costantino”.
Nonostante tutto, vale la pena dedicare un po’ di tempo alla visita del sito.
Raggiungere la meta potrebbe richiedere dunque qualche sforzo in più, non trattandosi di un luogo del tutto a portata di mano; inoltre, rispetto alla segnaletica rossa etichettata M12 diffusa in tutta l’area del centro storico interessata dalla biennale, quassù le indicazioni scarseggiano e, quando pervengono in forma mimetica, come a voler riproporre quelle di un sentiero di montagna, sono rintracciabili in improvvisate tavolette di legno, dove con un pennarello nero dal tratto grosso è stata riportata la solita sigla alfanumerica.
Una volta arrivati alla portineria del complesso residenziale della collina, dove bisognerà esibire i pass per la registrazione e per accedere al sito, ad interfacciarsi con il visitatore è lo stesso portinaio che, all’occorrenza, è stato integrato nello staff della biennale nomade.
Probabilmente durante la compilazione dei moduli lui continuerà a guardare la XXXIV edizione dei campionati europei di nuoto sullo schermo televisivo, e se vorrete tentare di instaurare un dialogo, anche il più ordinario, con il vostro interlocutore, potreste domandare come raggiungere da quell’altezza lo scheletro dove Rotor ha centrato l’intervento, o ancora, chiedere se ha visitato il percorso e l’installazione.
A quel punto il portinaio, costretto a distogliere l’attenzione dalla competizione sportiva, ripeterà a memoria la solita sinfonia, quindi di contare circa altri quattordici tornanti, fino a giungere ad un cancello leggermente arrugginito, dopo il quale bisognerà imboccare fra le due strade al bivio quella in discesa, andando avanti finché consentito.
Alla seconda domanda, quella sul suo personale giudizio in merito all’intervento di Rotor, vi confiderà che fa la stessa strada verso la vetta della collina da quarant’anni, e che lassù ci sono soltanto gli scheletri e il panorama.
Un panorama bellissimo, quello si, ma per cui il merito “è tutto del Padre Eterno…né dei costruttori, né di quelli di Manifesta”!
Senza contraddirlo, potrete infine salire verso la cima.
Il sentiero è in parte sterrato e le piante cresciute spontaneamente invadono la traiettoria del percorso, lungo il quale, ancora una volta, l’intervento artistico si confonde con quello che sembrerebbe un più generico stato di abbandono.
La città, illuminata di un chiarore quasi etereo, appare dall’alto della collina di un’inconsueta bellezza.
Attorniata dalle montagne, Palermo si palesa in tutta la sua ortogonalità ottocentesca, che pian piano si dissolve verso il mare in una trama eterogenea di case di villeggiatura e di piccoli borghi; anche le sue peggiori brutture evocano da quassù un piacevole senso di détournement.
Dopo aver attraversato quella sorta di cimitero immobiliare, fra carcasse di terrazze, parvenze di balconi, e di finestre e porte mai aperte, e ammassi di mattoni forati immobilizzati dal tempo, ecco infine lo scheletro prescelto dal gruppo belga.
Reso accessibile da un ponte apparentemente adagiato su un cumulo di calcinacci, l’essenziale ossatura di pilastri e solai si tramuta nell’archetipo di una casa.
Un tavolo di legno vecchio e scrostato, una scala certamente instabile, una seduta, un ipotetico angolo cottura, ma soprattutto, come ci tengono a precisare Tristan Boniver e Renaud Haerlingen, un nuovo punto di osservazione.
Un ribaltamento prospettico per cui il paesaggio sfregiato di Pizzo Sella diviene un dispositivo culturale attraverso cui, almeno nel corso dei cinque mesi in cui Manifesta sosterà in città, uno dei luoghi più umiliati di Palermo potrà trovare per sé una nuova rispettabilità, e forse sperare di continuare a meritarsi ascolto e attenzione anche quando la manifestazione sarà conclusa, perché è il confronto fra le due diverse e contrastanti dimensioni, a far emergere il ruolo costruttivo della distanza di chi comprende come il più alto grado della presenza sia l’assenza 3.
Attraverso questa sottile affermazione di cui si serve Giuseppe di Benedetto in uno dei due capitoli introduttivi ai saggi di A. Torricelli, pubblicati all’interno del volume intitolato Palermo interpretata, si può comprendere come nel caso di Pizzo Sella, l’ingombrante ed evidente presenza costruita, una vera incombenza sulla città dall’alto dei suoi 652 metri, grazie all’azione di Rotor, lieve nella sua tangibilità ma potentissima nel significato, si tramuti in assenza, nella misura in cui al centro della fruizione è l’essere umano, il quale ritrova infine il contatto con il paesaggio circostante, rielaborando la crisi del luogo stesso e tramutandola in esperienza positiva.
Portata a termine la visita, come una sorta di rituale purificatorio, e abbandonata la casa primitiva alle proprie spalle, ancora un oggetto si trova li a ricordare che l’essersi arrampicati fin sulla vetta di Pizzo Sella non sarà stato un gesto casuale, quanto piuttosto il seguito di una scelta stimolata dalla volontà degli stessi Rotor.
Una panca, questa volta tirata a lucido con brillanti piastrelle bianche, sembra atterrata, quasi come fosse una meteora, su quel belvedere da cui si riconosce, in lontananza, anche la costa trapanese e l’estrema punta sul mare di San Vito Lo Capo.
Da quassù è tutta un’altra cosa è un’esperienza complessa che vale la pena affrontare perché soltanto il potere dell’arte è in grado di trasformare un episodio drammatico in inquieta bellezza.
1R. Alajmo, L’arte di annacarsi. Un viaggio in Sicilia, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010
2T. Cannarozzo, La governance mafiosa e l’assalto al territorio, in Il paesaggio agricolo nella Conca d’Oro di Palermo, a cura di Manfredi Leone, Francesco Lo Piccolo, Filippo Schilleci, Alinea Editrice s.r.l., Firenze 2009
3G. Di Benedetto, A tempo e a luogo. Palermo e le forme della temporalità, in A. Torricelli, Palermo interpretata, a cura di Giuseppe Di Benedetto, Lettera Ventidue, Siracusa, 2016