di Gabriella Lo Ricco
I lavori di Vittorio Corsini narrano di alcuni aspetti della condizione contemporanea indagati dal punto di vista di un artista di adozione fiorentina classe 1956. La sua età segnala la presenza di un lavoro che oggi ha raggiunto la sua maturità, mentre la sua regione di nascita indica il terreno culturale in cui si innestano le radici dello sfaccettato discorso che le sue opere narrano. Un terreno che nel corso dei secoli ha alimentato una vasta produzione artistica e architettonica e le cui qualità essenziali sono state perfettamente focalizzate, tra gli altri, da Giovanni Michelucci: «lo spirito fiorentino […] è quel senso di precisa, pacata poesia che nasce dalle idee chiare, […] da un’avversione dell’arbitrario che produce il caos, confonde le idee e disorienta».
L’attenzione di Vittorio Corsini spazia dai simboli che costruiscono l’immaginario dello spazio individuale e collettivo e attraverso cui l’individuo si definisce e si realizza; ai processi attraverso cui l’individuo si relaziona ai diversi contesti – la percezione dei confini e del paesaggio; fino a indagare i rapporti che alcune realtà proprie della nostra contemporaneità – come internet o la convivenza di pluralità religiose e culturali – intrattengono con lo spazio individuale. All’ampiezza di tematiche sondate Vittorio Corsini fa sovente corrispondere materiali e strumenti di rappresentazione che variano in relazione al soggetto indagato e al luogo cui sono destinate le opere. Ciò in ragione dei diversi significati e delle sfumature interpretative che ogni tema porta con sé e degli interlocutori cui sono destinate le opere.
Eppure è possibile tracciare delle costanti nei suoi lavori: materiali fragili come il vetro divengono portanti; “materiali” impalpabili, come la luce, assumono forma; spesso le opere sono composte da corpuscoli e “si consumano” con lo scorrere del tempo: alterate da chi ne fa esperienza i lavori diventano occasione di esperienze da interiorizzare attraverso il corpo o lo sguardo.
Sempre, le opere di Corsini sollevano questioni, generano domande, interrogano il mondo in cui viviamo e stimolano operazioni di interpretazione e comprensione di alcuni aspetti della contemporaneità. La sua cifra, nelle sue diverse declinazioni, è quel fiorentino senso di «pacata poesia che nasce dalle idee chiare» e che a partire dalla sostanza emotiva che le opere provocano, porta a riflettere, a volte a bearsi, altre invita ad ampliare la nostra visione del “mondo” e ad arricchirla di nuove sfumature. Il carattere che attraversa i lavori di Corsini è il medesimo formulato da Italo Calvino come proposta estetica per il nostro millennio: la leggerezza.
All’interno di questa cornice interpretativa, si inseriscono anche i quattro lavori realizzati a Peccioli, un piccolo paesino del pisano, dove Corsini sceglie di intervenire in quattro diversi luoghi, sviluppando un racconto attraverso i siti nevralgici del paese: un belvedere, il centro polifunzionale, la chiesa e uno spazio, prima del suo intervento dedicato a messaggi di pubblica utilità, ben visibile nel momento in cui si accede al paese.
A ridosso di un belvedere, su un terrazzamento che guarda la vallata, una parete provata dal tempo è punteggiata da fotografie che ritraggono occhi. È vastissima la letteratura ma anche la ricerca scientifica dedicata all’importanza dello sguardo: «l’occhio compendia il volto nel rispecchiare l’anima», dice Georg Simmel; «l’occhio è il principale strumento di osservazione della realtà alla base della vita» dice Robert Lanza esperto in neuroscienze. Azzurri, grigi, giovani, saggi, brillanti, allegri, astuti, malinconici, provati, speranzosi, gli occhi degli abitanti di Peccioli, immortalati su uno sfondo neutro e sempre uguale, fissano l’orizzonte aperto che li fronteggia e riecheggiano le modalità attraverso cui usualmente si usufruisce di quel luogo. Eppure, allo stesso tempo, quegli occhi sono guardati, sono scrutati dagli abitanti stessi e il belvedere da luogo per guardare il paesaggio diventa anche luogo di confronto, di incontro, di gioco, dove le persone s’intrattengono a cercare se stesse, i propri vicini, i propri cari, o s’interrogano su occhi sconosciuti. In un fitto gioco di rimandi, l’installazione “Lo sguardo di Peccioli” sposta le qualità di utilizzo dello spazio cui è destinata e, insieme, stimola un’operazione di auto-riconoscimento che è individuale, e che diventa un riconoscimento all’interno di una comunità.
Il tema della comunità, trova, nel centro polifunzionale, una declinazione ancora più ampia. In un luogo per eccellenza d’incontro collettivo, il sistema più ampio cui Corsini fa riferimento è la sconfinata rete di internet. La tecnologia informatica, quale attuale strumento d’interazione in una rete globale, è in effetti oggi uno dei mezzi più rilevanti attraverso cui ci rapportiamo con “l’altro”. Corsini evidenzia la natura prettamente percettiva di questo strumento di informazione attraverso la creazione di un intervento che ne declina l’immaterialità. Così, in “Light mood” la luce diventa il materiale prescelto mentre le qualità di questa luce – i suoi colori – variano in base alle emozioni espresse dagli utenti di Twitter, secondo quell’associazione tra colori e stati d’animo studiata dal sociologo statunitense Plutchik. In effetti, come dimostrato dalle più recenti ricerche in ambito psicologico, sono proprio le nostre emozioni a determinare le qualità dei rapporti con “l’altro”.
Sulle pareti della chiesa di Peccioli Corsini sceglie invece di lavorare con dei simboli. Ancora una volta il lavoro varia in relazione al luogo dell’installazione: a ridosso di un edificio di culto riannodarsi a quel filo rosso che attraversa la produzione artistica della storia di tutte le religioni implica la scelta di un soggetto dalla natura simbolica. Ciò che viene raffigurato – le immagini di un seme, di una pianta, di un frutto e la scritta “azzurro” – rappresenta in questo caso quel percorso vitale di crescita che appartiene a ognuno di noi. Ancora una volta, il materiale scelto, “la luce”, costituisce l’essenza, la qualità, del ragionamento che sta dietro l’opera: si tratta della raffigurazione di un processo vitale interiore, impalpabile e insieme concreto, al pari di quei raggi luminosi che disegnano simboli sulle pareti della chiesa.
L’arte, a Peccioli, diventa strumento di innalzamento della coscienza: essenze e qualità variano in relazione ai luoghi cui è dedicata. Così, allorquando si accede a Peccioli, non stupisce di poter vedere una grande parete che riporta l’immagine di tre cieli ruotati e affiancati.
Come scritto da Wisława Szymborska: «da qui si doveva cominciare: il cielo. | Finestra senza davanzale, telaio, vetri. | Un’apertura e nulla più, | ma spalancata. | Non devo attendere una notte serena, nè alzare la testa, | per osservare il cielo. | L’ho dietro a me, sottomano e sulle palpebre. | Il cielo mi avvolge ermeticamente | e mi solleva da sotto. | Persino le montagne più alte | non sono più vicine al cielo | delle valli più profonde. | In nessun luogo ce n’è più che in un altro|». Se Peccioli prima degli interventi di Corsini dava il benvenuto ai suoi visitatori con dei messaggi pubblicitari, oggi l’accesso al paese è caratterizzato da un lavoro che presenta visivamente le essenze del vivere democraticamente e poeticamente all’interno di una comunità.
17 dicembre 2018