Una rubrica di Paola Gambero e Andrea Pasella
“Il rapporto che, in circostanze “normali”, cerco di instaurare con gli studenti è di rispetto in primis ma poi cerco sempre di essere confidenziale e mostrare che siamo tutti e due lì per ottenere il meglio dal semestre.
Quindi l’ambiente per le critiche non deve essere eccessivamente formale, come non lo sarebbe nella realtà.
Se dovessi dare una lezione, ecco che lo sfondo cambia.
Infatti, se dovessi farla dal vivo non sarei a tu per tu su un tavolo da lavoro ma sarei in piedi, magari su un podio o con un microfono, quindi la relazione sarebbe diversa.”
La mia reale aula virtuale: Alberto Pottenghi
Alberto Pottenghi è ricercatore associato per la cattedra di Architectural Design and Participation presso la Technische Universität München (TUM)
“Lo schermo come “finestra sul cortile” del mondo intero. In questo mese di quarantena la mia scrivania e i libri che mi circondano sono la scialuppa di salvataggio nella tempesta, ma insieme le decine di stanze, cucine, soggiorni, stanzette, terrazze e giardini che si aprono alle spalle di chi entra nello schermo raccontano di altrettante storie e rammentano ipotesi di odori negati ai sensi tradizionali. Questa situazione rappresenta un’accelerazione forzata di un sistema che era recalcitrante. Impone un aggiornamento tecnico e mentale straordinario che ricorda le sperimentazioni forzate sui nuovi materiali che l’industria bellica attivò nelle ultime guerre mondiali. Ci accorgiamo così che è possibile mescolare i generi della didattica e del confronto; che i ragazzi “nativi digitali” hanno una naturalezza nell’uso attivo del mezzo che i professori non hanno, e per questo dimostrano una attenzione differente e una propensione alla collaborazione attiva che mancava in aula. Probabilmente ci muoveremo verso sistemi misti che attiveranno forme di apprendimento, scambio e sperimentazione inattesi. Un rimescolamento di generi che lavorerà verso l’annullamento progressivo delle categorie binarie a cui sembravamo eternamente abituati. Pubblico/privato; dentro/fuori; notte/giorno; casa/strada; frontale/orizzontale; analogico/digitale; sano/infetto. Quello che è di eccezionale in questa esperienza individuale/collettiva dev’essere ascoltata con molta attenzione, perché indietro non si torna.”
Milano, 8 aprile 2020
La mia reale aula virtuale: Luca Molinari
Luca Molinari è professore presso l’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”. Attualmente insegna “Architectural Design” al Corso di laurea magistrale in Architettura – Progettazione degli interni e per l’autonomia.
“Sullo schermo del Mac la presentazione di un dottorando di cui sono relatore. E’ un puro caso (o forse una coincidenza inconsciamente voluta) che l’immagine fissata sullo schermo sia quella della casa abitacolo labirinto di André Bloc, scultura abitabile a Carboneras che peraltro Bloc non abitò mai perché morì nello stesso anno della realizzazione (1966).
Sotto e intorno, parecchi strati di tante altre cose in simultanea.
E’ il vantaggio della diretta in remoto…”
La mia reale aula virtuale: Carmen Andriani
Carmen Andriani, architetto, docente di progettazione architettonica ed urbana presso il Dipartimento Architettura e Design/Scuola Politecnica /Università di Genova
Posto fisso, telefono fisso, arredo fisso, sguardo fisso…l’aggettivo “fisso” sembra aver progressivamente ceduto il suo posto al suffisso -less.
La fissità ritorna ad essere però in questo momento protagonista. La città, per esempio, resta imprigionata dalla cornice dell’infisso della nostra finestra, e così è: l’immagine di essa coincide con essa stessa, nudo palcoscenico dove alcuna attività umana (non indispensabile) viene svolta, è la Bologna del ‘69 che Paolo Monti fece sbarazzare di ogni traccia umana, è la Parigi che Eugéne Atget ritrae con lunghissimi tempi di posa, dove l’uomo non ha il tempo di restare impresso sui sali d’argento, la città in quarantena è una meravigliosa e inquietante scena fissa.
Paola Gambero e Andrea Pasella
La mia reale aula virtuale: Davide Rapp
Davide Rapp è docente a contratto di ‘Fondamenti del progetto d’interni’ al Politecnico di Milano – Scuola del Design, Campus Bovisa
La proprietà privata si ripiega su sé stessa, si ribalta il concetto tra pubblico e privato. La sfera dell’intimità è rivoltata come un calzino, l’intrusività si estende su una scala mondiale, rendendo lo spazio privato virtuale il luogo/non luogo (eterotopia direbbe Foucault) appannaggio del ventunesimo secolo.
La webcam è l’unico strumento a cui rimane aggrappata l’individualità del singolo, altrimenti spazzata via dall’assenza inevitabile di qualsiasi espressione sociale dove mostrare appartenenza a mode, classi o tradizioni.
Il protagonista invisibile di questi mesi ha stravolto la nostra quotidianità, facendoci piombare da una routine del movimento, ad una routine dell’immobilità. Ma l’uomo si dimostra comunque un essere attivo, e se la routine ha abdicato per questo breve periodo, gli ingranaggi del lavoro hanno solo rallentato, facendo nascere nuove quinte sceniche a fronte di un “luogo di lavoro” che si è frantumato in mille pezzi.
La nostra immobilità fisica contrasta una mobilità virtuale sconvolgente. Non si tratta più solamente di poter viaggiare in tutto il mondo con google maps, ora lo schermo è il nostro luogo e mezzo di spostamento.
C’è una scissione colossale tra spazio fisico e spazio virtuale, il luogo che vediamo si scinde totalmente da quello che viviamo fisicamente. La possibilità di poter entrare nei luoghi intimi di lavoro degli altri ci permette di inglobarli nel nostro luogo fisico, creando una condivisione del tutto inimmaginabile, una fisicità virtuale che sta costituendo le nostre giornate.
E quindi mai come adesso la quinta scenica dietro alle skypecall è divenuta il luogo di svago, la nostra gita fuori porta. Essa assume una duplicità incredibile: è l’abito da sera che indossiamo per uscire ed è il luogo dove l’altro ci incontra.
Ma è sempre l’ignoto a sollecitare la fantasia.
Ciò che sta dietro la soglia.
E senza domandarci se sia meglio immaginare cosa ci sia dietro ad una siepe oppure dietro ad una webcam, siamo spinti dal desiderio di capire cosa si affacci dietro allo schermo di professori di una facoltà – Architettura – che fa della fisicità una delle colonne portanti dell’insegnamento.
Qual è il luogo fisico ora dei professori?
In che aula si fa lezione?
Ad ogni appuntamento cercheremo di dare un volto all’ignoto dietro agli schermi dei professori cercando di far diventare fisico il luogo nascosto dallo schermo.
Paola Gambero e Andrea Pasella
La mia reale aula virtuale: Marco Biraghi
Marco Biraghi è professore di Storia dell’Architettura al Politecnico di Milano
È attualmente impegnato nei corsi di “Storia dell’Architettura II” al secondo anno del corso di laurea triennale e “Storia e Teorie dell’Architettura contemporanea” al corso di laurea magistrale.