di Marco Biraghi
La presenza femminile nel mondo dell’architettura è un fatto. Innegabile quanto denso di significato. Non soltanto perché testimonia un minor disequilibrio (troppo sarebbe dire “un maggior equilibrio”) tra generi rispetto ad altri ambienti e professioni; ma anche perché dimostra in concreto il valore di un apporto diverso all’architettura, a tutte le sue scale: un apporto fondamentale in sé e non soltanto nella prospettiva di un’astratta – ma per il momento soltanto mitologica – parità di genere.
Da anni ormai la componente femminile riveste un ruolo essenziale negli studi di architettura, così come ne ha uno altrettanto essenziale nella composizione del corpo docente delle scuole di architettura, e prima ancora costituisce una parte rilevante (quando non addirittura preponderante) del corpo studentesco di quelle stesse scuole. Vero è che tale componente nel suo complesso fatica ancora a veder riconosciuto il proprio effettivo valore, e a ottenere conseguentemente posizioni rilevanti rispetto alla componente maschile; ma le cose – a livello internazionale, e persino italiano – sembrano in via di miglioramento sotto questo punto di vista.
È dunque con piacere che va salutata la mostra che il MAXXI di Roma inaugurerà nei prossimi giorni con il titolo (peraltro non felicissimo) Buone nuove. Donne in architetture (16 dicembre 2021 – 11 settembre 2022). Pur essendo sospetta di nascondere possibili “trappole” (come sempre accade in questi casi), la decisione di dedicare un’esposizione ad alcune delle tante figure che, da almeno un secolo a questa parte, hanno fornito alla disciplina architettonica quell’apporto prezioso e importantissimo a cui si accennava più sopra va giudicata non soltanto opportuna ma ancor di più sacrosanta. Tardiva forse, ma in ogni caso meritevole e apprezzabile.
Nel presentare la mostra, il sito del MAXXI accenna – senza scoprire troppo le carte – alla presenza in essa di «alcuni dei nomi e delle storie che hanno avuto, o hanno tutt’oggi, un impatto cruciale: da Charlotte Perriand ai collettivi anni ’70, da Elizabeth Diller a giovani promesse “realizzate” come Frida Escobedo». L’immagine utilizzata come “copertina” del video di presentazione dell’evento rappresenta la Torre di controllo a Marina di Ragusa di Maria Giuseppina Grasso Cannizzo. E altri nomi importanti – vi è da presumere – si affiancheranno a quelli qui fatti.
La mostra è curata da Pippo Ciorra, Elena Motisi e Elena Tinacci. Non è strano né riprovevole che una manifestazione dedicata alle “donne in architettura” veda tra i suoi curatori anche un uomo, tanto più poi che Ciorra è il senior curator di architettura del MAXXI. Più strano è che nel già citato video di presentazione Ciorra appaia da solo, senza le co-curatrici della mostra, peraltro neanche esplicitamente citate, e piuttosto ricomprese in un piuttosto generico riferimento all’«intero staff curatoriale del MAXXI». Ma più che strano, addirittura stravagante, è che lo stesso Ciorra descriva la mostra come un’analisi del modo in cui è cambiata nell’ultimo secolo la «composizione antropologica della professione» di architetto; dove – si dice – «è aumentata la presenza di donne, di gruppi, di collettivi, di coppie, di gruppi complessi, di gruppi variabili».
Ecco: la parole “donne” nel video di presentazione della mostra è pronunciata in questa sola occasione. Neppure nel titolo essa permane, essendo quest’ultimo scritto e citato con l’omissione del sottotitolo. Distrazione o mossa intenzionale? Viene quasi il dubbio che si tratti di una mostra diversa da quella annuncia dallo stesso sito del MAXXI. A meno che la volontà di non cadere in enfatizzazioni retoriche della “questione femminile” in architettura abbia finito con l’oscurare la realtà della mostra. Ciò che finirebbe per sottrarre ancora una volta alle donne quanto si dovrebbe riconoscere loro proprio nel momento in cui si promette di riconoscerglielo.
Aspettiamo di vedere la mostra. Sperando che davvero vi siano “buone nuove”.
13 Dicembre 2021