È il primo pomeriggio di sabato 16 settembre quando vengo raggiunto nella mia abitazione milanese dalla notizia della scomparsa del Professor Federico Bucci, architetto e critico, docente di Storia dell’Architettura, prorettore del Campus Mantova del Politecnico di Milano e responsabile della Cattedra UNESCO in Architectural Preservation and Planning in World Heritage Cities.
Come tutti gli studenti del Politecnico, ed in particolare i suoi allievi del Polo di Mantova, ho vissuto ore di apprensione che si sono progressivamente trasformate in giorni e poi in settimane. Infine è stata l’incredulità ad avere la meglio.
Dopo lo sgomento che mi ha lasciato attonito a seguito del grave incidente nel quale è stato coinvolto, con il passare dei giorni mi sono persuaso che il Professore ce l’avrebbe fatta. Nonostante si trovasse da ormai due settimane in un profondo stato comatoso, ho sempre evitato di credere che potesse finire così.
Con il passare del tempo però la speranza si è lentamente trasformata in attesa. Attesa che si risvegliasse, che arrivassero nuovi bollettini medici. Per due settimane la nostra vita è andata avanti nonostante quella del Professore fosse appesa ad un filo sottile. Chi fra noi è più credente lo ha affidato ad una preghiera, altri ad un pensiero, altri ancora hanno ripreso in mano un suo libro sperando che potesse aiutarlo a tornare presto nelle aule dell’ateneo che ha servito per più di trent’anni.
Il Professore lascia un vuoto incolmabile in tutti i suoi discepoli ed in generale nei cultori della Storia dell’Architettura del nostro paese. La sua capacità di far colloquiare personaggi della storia mantovana come Leon Battista Alberti, Andrea Mantegna, Giulio Romano e Baldassarre Castiglione (che aveva eletto a icona dei suoi profili nel ritratto di Raffaello Sanzio) con architetti moderni e contemporanei è sempre stato un grande punto di forza per l’ateneo. Proprio da questo presupposto aveva dato il via a Mantovarchitettura, un evento annuale che dal 2014 promuove conferenze, mostre e workshop tenuti dai protagonisti della cultura architettonica contemporanea nei luoghi storici della città di Mantova come il Tempio di San Sebastiano, Palazzo Ducale, Palazzo Te, Palazzo della Ragione e la Casa del Mantegna. Lo scorso maggio il Professore aveva con fierezza inaugurato la decima edizione del festival ripercorrendo le tappe e gli illustri ospiti che avevano animato la manifestazione.
Il Professore lascia un grande vuoto anche al Politecnico di Milano, istituzione alla quale ha dedicato gran parte della sua carriera professionale. La sua dedizione e il suo impegno nell’ambito accademico sono un faro per i docenti e gli studenti a proseguire nel solco tracciato. Come ha ricordato Stefano Capolongo, direttore del DABC, Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito, “del Professore ci mancherà sopratutto la leggerezza, che non è superficialità, di cui parlava Italo Calvino, con cui prendeva la vita. Un sulfureo sense of humour faceva parte della sua quotidianità. Si rideva spesso con Federico”.
La grande eredità del Professore non sono tanto gli scritti che ci ha lasciato sui Maestri della Scuola di Milano, per i quali nutriva un’assoluta predilezione, neanche le decine di articoli comparsi sulle principali riviste di architettura italiane delle quali egli è stato per tanti anni appassionato redattore e nemmeno il primo corso di Storia dell’Architettura Contemporanea fruibile digitalmente. La sua più importante eredità risiede in un metodo di intendere la Storia e la Critica dell’Architettura come inesauribili fonti progettuali. Un’architettura che sia attenta alle esigenze della società contemporanea ma che al contempo affondi le radici nella storia attraverso la conoscenza e lo studium delle preesistenze ambientali delle città e del territorio.
Permettetemi infine un ricordo personale. Mi sento particolarmente legato al Professore, che, oltre a essere stato uno straordinario relatore per la mia tesi di laurea triennale, occasione per la quale mi mise a disposizione un inedito progetto giovanile di Zanuso e Albricci emerso dagli Archivi Storici, è stato docente di molti corsi tra Milano e Mantova che ho seguito nell’ultimo triennio. Pur nella sua ruvidità apparente era una figura profondamente paterna ed un modello per gli studenti. Un padre molto severo ma altrettanto umano e comprensivo. È proprio grazie alla sua disponibilità che, conclusi gli studi a Milano, decisi di seguirlo a Mantova, campus nel quale è attivo un corso di laurea magistrale in Architectural Design and History da lui stesso fondato nell’Anno Accademico 2016/2017.
Purtroppo non ho fatto in tempo a ringraziarlo per i tanti insegnamenti che mi ha impartito nel tempo. Lo avevo incontrato un’ultima volta nel mese di luglio, nei corridoi dell’ex monastero di Santa Maria Maddalena, sede mantovana del Politecnico. Oggi quelle aule sono silenti e la potenza del suo tono di voce tonante che anticipava il suo arrivo è solo un ricordo lontano. Rammento che nonostante il caldo torrido estivo fosse come sempre molto elegante nel rispetto del ruolo che ricopriva. Ma non era solo la sua raffinatezza a colpire gli studenti: era il suo umorismo sottile e la battuta sempre pronta in grado di accorciare la distanza allievo-studente. Capitava spesso che ci si fermasse dopo una lezione o una conferenza per un un aperitivo nel quale vigeva il tacito accordo per cui si potesse parlare di tutto tranne che dell’architettura.
Mi piace pensare che il Professore si stia ora divertendo, ovunque egli sia. Lo immagino in compagnia dei suoi maestri elettivi Franco Albini e Luigi Moretti o al cospetto di Ludwig Mies van der Rohe. Oppure, rigorosamente in piedi, a guardare una partita dell’Inter, passione che anteponeva perfino all’architettura.
Arrivederci Professore, che brutto scherzo ci ha giocato questa volta!
Eugenio Lux