Il secolo lungo di Luigi Caccia Dominioni


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Il 7 dicembre 1913, una domenica, nello Stadio Nazionale di Roma, la Lazio batte 4 a 0 l’Audace nel derby della capitale. Giovanni Giolitti ha da poco vinto le prime elezioni a suffragio universale maschile e formato il nuovo governo. In Italia regna Vittorio Emanuele III, sul soglio pontificio c’è Papa Pio X, mentre nell’Impero Austro-Ungarico Francesco Giuseppe è da poco entrato nel suo sessantaseisimo anno di regno.

Quella domenica 7 dicembre, a Milano, nasce Luigi Caccia Dominioni. Ha quasi cinque anni quando termina la Prima Guerra Mondiale. Nel 1931 si iscrive al Politecnico di Milano frequentando i corsi di architettura quando ancora le facoltà di Ingegneria e di Architettura non sono ufficialmente divise. Nel 1936 si laurea e apre il proprio studio a Milano con Livio e Pier Giacomo Castiglioni. Tra il 1939 e il ’43 è impegnato nelle vesti di militare nel secondo conflitto mondiale, ma dopo l’8 settembre, rifiutandosi di aderire alla Repubblica Sociale, è costretto a riparare in Svizzera.

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Nel dopoguerra inizia la sua attività di architetto, dopo gli esordi dedicati al design (dapprima con Castiglioni e poi con Ignazio Gardella, con cui nel 1947 fonda Azucena, la prima azienda italiana produttrice di oggetti d’arredo moderni). Il 1947 è anche l’anno in cui progetta Casa Caccia Dominioni in piazza Sant’Ambrogio, a Milano, la casa di famiglia andata distrutta nel corso della guerra. Si tratta del primo caso esemplare in cui l’architetto affronta con sapiente equilibrio il rapporto tra modernità e tradizione lombarda. Seguiranno edifici meno consueti come l’ex Stabilimento Loro Parisini (1952-56), in via Savona, anch’esso – come la maggior parte di quelli seguenti – nel capoluogo lombardo, o come il complesso per abitazioni in piazza Carbonari (1960-61): in entrambi i casi, tentativi riusciti di “re-invenzione” di un linguaggio a partire dai vincoli dati. Ma anche edifici molto abili nell’apparire subito “consueti”, ovvero nell’essere metabolizzati nel tessuto della città, come l’allungato condominio in via Ippolito Nievo (1955-57; 1964-65) o il sobrio ed elegante palazzo per abitazioni e uffici in corso Monforte (1961-64).

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Si tratta in tutti i casi di un’architettura non “estremista” o ideologica, cui spesso è stata assegnata la non entusiastica (e altrettanto poco encomiastica) etichetta di “prodotto di un buon professionismo”: ricorrente tentativo di sottovalutazione di un’opera – all’interno della più generalizzata tendenza al deprezzamento della concreta e corretta pratica del mestiere – priva di salvagente intellettualistici e di paracadute teorici, ma saldamente ancorata a una concezione dell’architettura come “fatto” umano.

È nella chiave di un perfetto dominio dei principî dell’urbanistica moderna, riveduti e corretti alla luce di caratteri tipologici e morfologici più flessibili e umani, che va letto il Quartiere San Felice (1967-75), a Segrate, progettato da Caccia Dominioni insieme a Vico Magistretti: un modello fondamentale per ogni futura enclave residenziale destinata a una borghesia metropolitana sedotta dalla vita fuori città. Mentre è nel pieno rispetto della civiltà contadina e montana valtellinese che egli realizza la Biblioteca Vanoni (1965-66) a Morbegno: luogo al quale Caccia Dominioni è particolarmente legato da relazioni affettive e familiari (qui ha trascorso parte della sua infanzia e il padre ha rivestito la carica di sindaco dal 1911 al 1920) e lavorative, avendovi realizzato nel tempo diversi interventi (il complesso residenziale Monticello, dalla metà degli anni ottanta; la Chiesa della Madonna delle Grazie nella frazione di Paniga, 1969-79; la Chiesa di San Giuseppe, 1988-93).

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Nel corso della sua lunga carriera, l’architetto Caccia Dominioni ha insistentemente predicato e praticato un’architettura al servizio della committenza, e dunque un’architettura in ascolto, quieta, paziente, sensibile, lontana dal narcisistico rispecchiamento di se stessa e del suo autore. Ma in una misura forse ancora più degna di nota, nel corso del suo lungo secolo di vita, Luigi Caccia Dominioni ha dimostrato di saper praticare la virtù del saggio: «Raggiungi il vuoto estremo e conserva una rigorosa tranquillità. […] Tornare alla propria radice si chiama la tranquillità: ciò vuol dire deporre il proprio compito. Deporre il proprio compito è una legge costante. Colui che conosce questa legge costante si chiama illuminato. […] Colui che conosce questa legge costante è tollerante: essendo tollerante non conosce pregiudizi, è comprensivo; essendo comprensivo è grande; essendo grande è (identico a) la Via; essendo (identico a) la Via, dura a lungo. Sino alla fine della sua vita non è in pericolo».

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Marco Biraghi

7 dicembre 2013