di Mauro Sullam
Il soffitto, la finestra, il corridoio, il pavimento, il balcone, il camino, la facciata, il tetto, la porta, il muro, la rampa, la scala, il gabinetto, la scala mobile, l’ascensore: questi sono i quindici elementi che Koolhaas propone per tornare alla concretezza della costruzione in un’ottica di continuità tra passato e presente.
A ogni elemento è associata una stanza del Padiglione centrale, ai Giardini della Biennale, ognuna curata da un diverso gruppo di ricerca. Una sedicesima stanza introduttiva raccoglie ed espone diversi trattati, manuali e testi di teoria architettonica, provenienti da tutto il mondo come del resto è internazionale la selezione dei materiali presenti nelle altre stanze, dalle maniglie ai muri e ai parapetti.
Scompare l’edificio, scompaiono lo spazio e il suo equilibrio complesso fra le parti, e trionfano a seconda dei casi lo schedario, il catalogo, la collezione o il campionario. Questo accumulo di pezzi, di frammenti costruttivi è inserito in un allestimento semplice, di atmosfera quasi industriale o fieristica, definito da pareti bianche ricche di testi, infografiche e materiale pubblicitario di settore.
Va ricordato che a ogni elemento è associato un libro le cui pagine, ingrandite e stampate su supporti rigidi, sono consultabili anche presso il Padiglione; ai libri viene delegato il ruolo di approfondire l’argomento tramite esempi, microsaggi e tavole sinottiche. La mostra, evidentemente arbitaria nella selezione degli oggetti da esporre, è dunque l’anteprima di un lavoro più cospicuo, e allo stesso tempo dà luogo a un’esperienza visiva, tattile e uditiva che la carta stampata non potrebbe mai restituire.
Al di là dei contenuti specifici, senz’altro abbondanti se si considerano anche i quindici volumetti pubblicati, sorge spontaneo un interrogativo sul senso di questa operazione. Come a volte succede quando si discute di politica o di storia, essa sembra voler rappresentare la fine delle grandi narrazioni, cioè l’imbarazzo o l’impossibilità di proporre una visione sintetica, dotata di ordine e gerarchie, preferendovi “micronarrazioni che si rivelano concentrandosi sul piano del particolare o del frammento”, come recita il testo introduttivo a Elements, pubblicato nel catalogo di Fundamentals.
L’antichità ha prodotto trattati, la modernità manuali, e la contemporaneità – sembra suggerire Koolhaas – può riconoscersi solo nel catalogo, per quanto universale e metastorico possa essere. Il discorso è seducente: ha un suo aspetto di verità in cui tutti, almeno in parte, possiamo riconoscerci; sembra liberarsi da ogni ideologia, da ogni interpretazione politica, morale o estetica. Non fornisce giudizi né indicazioni, se non quella di attingere con apertura e curiosità al sapere planetario, ricombinandolo di continuo.
La tendenza tassonomica ha del resto una posizione di assoluto rilievo nelle attuali pubblicazioni di architettura: ogni tema ha oggi una vasta scelta di libri-schedario, che probabilmente a breve verranno sostituiti in via definitiva da corrispettivi telematici passibili di essere espansi, modificati e raffinati con il tempo. Molte ricerche, non solo in ambito architettonico, si muovono nell’orizzonte del database, dell’atlante digitale e di altre forme spesso incrementali e collaborative di conoscenza.
Si può forse dire che in questo quadro il baricentro ideologico del discorso, lungi dall’essere eliminabile, si sposti silenziosamente tra le pieghe dei criteri con cui escludiamo, scegliamo, schediamo, cataloghiamo, stabiliamo i modi per interrogare il database, ed è qui che la scelta di quei quindici elementi – proprio quei quindici – e la selezione dei materiali ad essi relativi vanno vagliate con la massima attenzione. È su tale terreno che un dibattito su questa ricca sezione di Fundamentals, nei mesi a venire, si renderà necessario, oltreché auspicabile. Come mai il muro e anche la facciata? Perché affiancare il corridoio, spazio servente ma pur sempre spazio, a elementi come la porta o il pavimento? Perché escludere la grammatica architettonica degli spazi aperti? Per tacere di assenti molto celebri, come le fondazioni o i pilastri.
Nelle discussioni intercettate in questi primi giorni di apertura della mostra, non era raro cogliere riflessioni e prese di posizione rispetto al modo in cui il catalogo avrebbe dovuto articolarsi: alcuni ad esempio avrebbero auspicato elementi sintetici di sintassi spaziale, altri ancora avrebbero puntato sugli elementi della rappresentazione architettonica, oppure sulla gerarchia strutturale della costruzione. In fondo, è proprio questo l’effetto fin’ora più interessante di Elements: molti, dietro al catalogo, stanno ricominciando a immaginare il proprio trattato.
20 giugno 2014