di Marco Biraghi
«Ho letto un articolo di recente, sembra essere davvero pieno di fatti sorprendenti che potrebbero interessarti. Leggilo!»
«C’è qualcosa di bello che volevo mostrarti, dai un’occhiata!»
«Hai visto questo? Devi dare uno sguardo, è davvero cool!»
«Guarda questa roba interessante, mi piace! Penso che ti piacerà troppo!»
Da qualche tempo a questa parte la posta elettronica di noi tutti è inondata da messaggi di questo genere, messaggi che il provider colloca correttamente e automaticamente nella cartella della posta indesiderata, comunemente detta spam. La parola spam, come certo molti sapranno, deriva dalla contrazione di “spiced ham”, maiale speziato, una marca di carne in scatola americana, ed è stata utilizzata in uno sketch del gruppo comico Monty Phyton degli anni ’70 per indicare qualcosa di – al contempo – sgradito e ossessivamente onnipresente.
Ma non è precisamente in questo senso che agiscono – non su di me, almeno – i messaggi di cui qui sto parlando. Innanzitutto perché non provengono da anonimi – o ignoti – sollecitatori, ma al contrario sono indirizzati a noi nella gran parte dei casi da persone che conosciamo bene, amici o conoscenti che siano. E in secondo luogo perché il contenuto di tali messaggi non è minaccioso o scopertamente fraudolento, con il tentativo di spacciarsi per la nostra banca o per la posta che richiede i dati di accesso ai nostri conti correnti, o per il comune che esige la riscossione di una multa o qualunque altro genere di operazione truffaldina.
Ovviamente il fine delle mail provenienti dagli “amici” non è meno disonesto. Tuttavia, vi è in esse uno “stile” sul quale vale la pena meditare brevemente. Nei messaggi riportati all’inizio, e in innumerevoli altri consimili, vi sono due caratteristiche precipue che li accomuna tutti: la cordialità, la gentilezza, financo la familiarità con cui si rivolgono a noi, come fossero scritti, appunto, da cari amici intenzionati a farci partecipi di qualcosa che ha mosso loro stessi a una reazione positiva, interessata, divertita, addirittura entusiastica. E inoltre – in modo altrettanto distintivo – la genericità assoluta con cui sono formulati: cercano di indurci a fare quello che vogliono senza dire nulla di preciso; di più, senza quasi dire nulla in assoluto.
Difficile immaginare una forma di comunicazione altrettanto vuota dal punto di vista contenutistico: la cui unica denotazione è costituita dal tono caloroso e amichevole, che ci chiede in modo sottinteso di fidarci. Ciò nondimeno, l’accoppiata di atteggiamento confidenziale e vuoto di contenuti, a guardar bene, pare non essere soltanto peculiare di questo tipo di messaggi. Si potrebbe dire che la stessa pubblicità agisce spesso secondo modalità analoghe, ciò che in fondo fa dei messaggi in oggetto una forma estrema di pubblicità (dove l’“estremità” consiste nel fatto che la loro finalità è sicuramente un imbroglio, cosa che nella pubblicità soltanto in una parte dei casi si verifica).
Ma vi sono altre forme di comunicazione contemporanee che assomigliano in maniera inquietante ai messaggi spam che ci giungono dagli account di persone a noi note: il linguaggio di molti articoli redazionali che è dato di leggere frequentemente sui portali online di giornali e riviste (ma non di rado ormai anche sui loro corrispondenti cartacei) è esattamente della stessa natura: in cui la mancanza di sostanza e la sciatteria della forma (parente stretta – quest’ultima – di una familiarità amicale) cerca di “avvalorarsi” sulla base della fiducia da noi riposta nell’“ente” emittente.
Ma a un’osservazione più attenta, la modalità di comunicazione suddetta sta diventando una forma espressiva generale e diffusa; e forse in futuro potrebbe diventarlo ancora di più. E ciò soprattutto nelle manifestazioni spontanee e appartemente “libere” della rete. Qui non di rado, al massimo di genericità e di povertà argomentativa corrisponde il massimo di volontà seduttiva. Non soltanto nell’opinionismo dei social network, ma anche all’interno di siti e contesti che hanno la pretesa di rappresentare qualcosa di più di un’esternazione individuale, discorsi la cui strutturazione di fondo potrebbe essere ricondotta alla formula “vacuità + simpatia = consenso” costituiscono già una consolidata modalità di “pensiero” odierno.
In questa direzione, però, si può fare – e probabilmente si farà – di più. Nella nuova generazione di messaggi spam che intasa le nostre caselle si nasconde forse il modello di una “critica” futura. Una critica, certo, sempre sgradita e in larga parte indesiderabile, una critica già “cestinata”, una critica spam, e tuttavia una critica stringata, essenziale, multiuso e perfettamente funzionale alla creazione di un pensiero unico.
«Ehi! Mi è piaciuto questo. Dagli un’occhiata e condividilo anche tu!»
14 novembre 2016