di Eugenio Lux
C’è un’area o meglio una fascia terrestre in cui l’alternanza tra giorno e notte, luce e buio, sole e stelle è più significativa che altrove: il circolo polare artico. Pochi chilometri a sud del parallelo che circoscrive l’area attorno al polo, nella Lapponia svedese, è collocato il comune di Harads. Non lontano dal piccolo centro abitato, immerso nella vegetazione della taiga, il Treehotel cerca di rimanere completamente invisibile celandosi tra gli abeti e confonendosi nel paesaggio.
Si tratta di un albergo molto particolare le cui camere sorgono tutte immerse tra le conifere del grande Norrland, uno dei “polmoni verdi” dell’Europa. L’ispirazione per la costruzione del TreeHotel prende vita guardando “The Tree Lover” (sve. Trädälskaren, 2008), film-documentario di Jonas Selberg Augustsén che racconta la storia di tre uomini di città che, desiderando tornare alle proprie radici, costruiscono una casa su di un albero dove vivere insieme.
La visione del film ha colpito Kent Lindvall e Britta Jonsson-Lindvall, proprietari del Brittas Pensionat che, come molti adulti, rimpiangono di non aver mai avuto una casa su un albero, simbolo di libertà stupendamente incarnato in Svezia da Pippi Calzelunghe. Al di là del lato “psicanalitico” dell’iniziativa, l’aspetto più qualificante del progetto è dato dalla capacità di trasformare l’albergo in un vero e proprio laboratorio di architettura contemporanea. Fondamentale è la scelta dei progettisti – tutti scandinavi – selezionati tra gli studi emergenti dell’ultimo quindicennio.
L’hotel è composto da otto camere in armonia con la natura, la cui dimensione varia dai 15 ai 55 metri quadrati e che sono collocate tra i quattro e gli otto metri dal suolo con una vista spettacolare sulla valle del fiume Lule. Nei diversi interventi è riconoscibile un fil rouge, o meglio una trama, fondata sull’ascolto del genius loci, attraverso le forme, i materiali, gli spazi interni e le aperture: tutti elementi che rendono riconoscibile il contributo scandinavo all’architettura contemporanea. Tuttavia, gli esiti sono molto eterogenei: le prime cinque camere realizzate al momento dell’apertura comprendono il Mirrorcube di Tham & Videgård Arkitekten, che si mimetizza nella foresta artica con l’effetto ottico del rivestimento a specchio, il Bird’s Nest di Inredningsgruppen, che cerca invece la mimesi con un intreccio di rami e la camera Ufo, che esprime la volontà di contrasto ipertecnologico dell’architettura extraterrestre. The Cabin di Cyrén & Cyrén è un abitacolo sospeso nel vuoto e l’ossimorico Blue Cone, disegnato da Sandell Sandberg, un piccolo alloggio costruito con la tecnica tradizionale delle scandole in betulla, colorate però di rosso. Anche le camere di più recente realizzazione condividono un’analoga capacità di dialogo: Dragonfly dello studio Rintala Eggertsson, è un elegante composizione di volumi in corten che orientano lo sguardo del visitatore, 7th Room di Snøhetta, si sviluppa su una grande piattaforma sospesa che conduce tra le chiome degli alberi, infine Biosphere, capolavoro di BIG, è un cubo di vetro attorniato da 350 casette per uccelli da cui, con un pizzico di fortuna, si può vedere l’aurora boreale che illumina la notte polare.
Se il Treehotel rappresenta un esempio affascinante di come l’architettura contemporanea possa colloquiare armoniosamente con la natura, non è esente da interrogativi. Progetti come questo evidenziano il crescente interesse per esperienze immersive ma sollevano anche questioni sul reale impatto ambientale e sulla “democratizzazione” di luoghi altri, lontani e spesso di difficile accesso. La scelta di materiali locali, il rispetto del paesaggio e l’uso ridotto di risorse sembrano rispondere a una sensibilità ecologica, ma la loro effettiva sostenibilità potrà essere valutata solo nel lungo termine. Inoltre, l’esclusività di queste architetture – spesso accessibili a un ristretto pubblico d’élite – rischia di trasformarle in icone di un turismo per pochi più che in modelli replicabili per abitare le aree più remote del pianeta.
In un’epoca in cui la crisi climatica impone di ripensare radicalmente il nostro rapporto con l’ambiente, il Treehotel è una testimonianza della capacità creativa dell’architettura, ma anche un invito a interrogarsi su quanto questi interventi possano realmente rispondere alle esigenze globali e collettive.
Photogallery con le otto camere del Treehotel su IG