China Export Trading

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di Linda Stagni

Nel paese dei cattocomunisti© anche i capitalcomunisti esistono!

Su “Giallo a Milano”

0. «Soltanto due generazioni fa, per i nostri nonni, il centro della storia sembrava ancora coincidere con Londra, Parigi Vienna e Berlino. Ben presto quel mondo sarebbe stato invece risucchiato nel vortice dell’americanizzazione: modi  di lavorare, tecnologie, costumi, stili di vita, mode e culture di massa. Per quanto abbia reso marginali gli europei, il secolo americano è stato un po’ anche “nostro”. […] 

Per gran parte della sua storia, l’America ha avuto la particolarità di essere un grande spazio semivuoto (in seguito al genocidio degli indiani), che inizialmente è stato riempito con contenuti di civiltà, ideologie, tradizioni e valori di origine europea. Il secolo cinese si apre con premesse opposte. La Cina è uno spazio pieno, anzi pienissimo, sia dal punto di vista demografico (al contrario degli stati uniti è un paese di emigranti, non di immigranti) sia per la sua storia, che vanta una civiltà originale e una cultura ricca.» 

[Federico Rampini, Il secolo cinese, Mondadori, 2005, p. 6]

 

1. «Dicono che per fare un buon giallo servano 15 ingredienti.» 

[Sergio Basso in “Giallo a Milano”, documentario 2009]

Con questo gioco di parole Sergio Basso lancia il suo documentario “Giallo a Milano” girato nella zona cinese del capoluogo lombardo. L’importante ruolo che il film gioca è dato non solo dal trattare un fenomeno volontariamente spesso trascurato, ma dalla capacità di osservarlo da differenti angolazioni. Scomposto in quindici capitoli, il documentario è una successione di storie animate da differenti personaggi/persone: dà un volto sfaccettato a quella che semplicemente viene definita la “Chinatown milanese”. Basso si confronta con aspettative, sogni, progetti, ricordi, volontà che riempiono lo spazio e scandiscono le attività di via Paolo Sarpi. 

La tendenza degli ultimi anni in ambito architettonico a guardare a Oriente sia intendendolo come campo d’analisi e di studio di un fenomeno che riguarda le potenze mondiali, sia più concretamente come terreno di costruzione, non corrisponde per intensità alla volontà di osservare la Cina europea, la Cina “esportata”. L’effettiva massa migrante si insedia nelle vecchie città europee – non solo, anche americane e asiatiche – connettendosi e interagendo con la cultura autoctona. Assumendo differenti caratteristiche e sfumature, non solo è una potenziale cartina tornasole per l’interpretazione della lontana Cina, ma più semplicemente un ulteriore strumento per leggere e comprendere il territorio europeo e come le sue città sanno comportarsi e rigenerarsi in caso di spinte esterne. 

Interpretando il “giallo di Milano” non come massa indistinta ma eterogenea, articolata, con la semplice operazione di “scomporre” Basso penetra nella realtà cinese: non la considera dunque come una comunità ma, partendo dai molteplici aspetti che la caratterizzano, arriva a definire le variabili di una seconda conquista dell’Ovest. 

Il fenomeno in questo caso è analizzato a Milano ma riguarda più genericamente “la città” occidentale. Si tratta di una società nascente capace di accettare compromessi e fortemente adattabile alle circostanze: essa non è riconducibile esclusivamente all’esperienza della madre Cina e alla sua ideologia. Le dimensioni, la velocità, il progresso e la quantità di questa Cina europea sono necessariamente dei riferimenti per comprendere i mutamenti del territorio europeo, che per la prima volta si trova ad essere l’oggetto del desiderio. Simon Leys scrive che «la Cina è l’indispensabile altro che l’Occidente deve incontrare per prendere davvero coscienza del profilo e dei limiti del suo ruolo culturale» e la città occidentale caricata di nuove aspettative, trasformata in un Eldorado lontana saprà dare differenti sviluppi.

Il mercato mondiale, che invaso dai prodotti asiatici ne teme le conseguenze, tralascia o non accetta l’esportazione della realtà cinese altrove, non volendo vedere come anche la città sia diventata un prodotto esportabile. 

2. «Adesso vedi scritte cinesi ma la Paolo Sarpi era assolutamente italiana, quindi qui i cinesi venivano solo perché si andava a frequentare la via di shopping italiano.» 

[Angelo Ou in “Giallo a Milano”]

Non si comprende, riferendosi a quest’area, dove la politica urbana volesse arrivare e quali intenti abbiano avuto le scelte fatte. Resta il dubbio di una precorritrice e inattesa comprensione delle logiche urbane che ha portato la municipalità ad affrontare con grande lungimiranza la questione cinese e la risoluzione della zona Sarpi.

Circa nel 2007 si inizia ad affrontare pubblicamente la questione dell’insostenibilità del commercio all’ingrosso nella delicata area di vie che si estendono intorno a Paolo Sarpi: proponendone uno spostamento, decentralizzazione o espulsione che chiamar si voglia, con la creazione dell’Asia Trading Milan Center in via dei Missaglia al Gratosoglio, l’effetto domino sarebbe dovuto partire dall’appoggio comunale nel velocizzare l’aspetto burocratico, oltre che dal già applicato divieto di carico e scarico se non in fasce orarie prestabilite e ulteriori limitazioni nell’area. Tra le lamentele asiatiche si fanno sentire anche quelle provenienti dalle periferie che si trovano ad accogliere tutto ciò che il “centro” rifiuta, palesando dietro l’operazione un’ombra negativa. All’inizio del 2008 si riprova la decentralizzazione oltrepassando i confini comunali e guardando ad un’area tra Lacchiarella e Binasco, il polo commerciale Il Girasole, dove l’attenzione già data dalle comunità cinesi di Prato e di Napoli avrebbero dovuto far scaturire interessi competitivi. In questi continui ipotetici o meno spostamenti, che inizialmente interessano anche l’ex stabilimento Alfa Romeo di Arese, si percepisce comunque la forte importanza, positiva o negativa che sia, che Milano dà al fenomeno. 

La macchia cinese sembra essere itinerante e per quanto sia ancora una questione aperta trova una citazione post-litteram nell’ingresso nel nuovo Piano di Governo del Territorio, dove si vogliono introdurre vincoli al commercio all’ingrosso, sebbene il polo asiatico più semplicemente sarebbe potuto diventare, e ne avrebbe avuto le potenzialità, una zona omogenea del vecchio Piano Regolatore. Certo è che in questo suo muoversi il fronte cinese trova continue espansioni. Il problema ritorna dunque in centro nella zona di via Paolo Sarpi, dove di pedonalizzazione si parla già nel 2003.

Grazie al libero mercato, l’immissione della popolazione cinese in quest’area ha sicuramente mantenuto e conservato, anche se in modalità differenti, il carattere originario. E oggi con meno grossisti, più botteghe e negozi al dettaglio il buon umore è ritornato e la via sembra stia ritrovando l’antico splendore. 


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3. «If Utopia is illusion, then ideology is illusion decreed, imposed: it mandates optimism. The fever of great expectations underlies an obsession with the Future and a refusal to accept the present.» 

[Rem Koolhaas in Great Leap Forward, Tschen, p. 47]

Nel triangolo di suolo definito da via Montello, via Procaccini e via Canonica, Milano si trasforma nella terra dei sogni. La concrezione dei sogni si manifesta con due variabili: la volontà di scelta che si dimostra irreversibile e il continuo guardare verso il futuro. 

Ogni umano porta con sé delle volontà. Nel momento di una migrazione la scelta del paese che sia voluta, casuale o necessaria amplifica le aspettative che sono ricercate nel nuovo insediamento. Il grande lavorio dell’area milanese, oltre all’innestarsi in un fattore culturale, risponde alla costruzione della propria volontà, alla conquista del proprio benessere. Si lavora nel “presente” per migliorare il “futuro”. La logica del “presente futuribile” dell’ideologia comunista si inserisce irreversibilmente nel progresso capitalista a senso unico: per i protagonisti di “Giallo a Milano” la Cina, per quanto rimpianta, si fa sempre più lontana geograficamente e temporalmente.

In Paolo Sarpi si lavora per il futuro, e si lavora sempre. La città cinese non vede pause durante la settimana e raramente durante l’anno. Eppure non vi è una vera e propria estrapolazione ed esclusione del tempo libero – del tempo del vivere il presente – quanto piuttosto un’inglobazione di questo all’interno del programma urbano. Gli spazi del lavoro diventano quelli domestici, la strada è il luogo dello stare, e il negozio è il luogo dell’intrattenimento familiare: si mangia, si gioca, si chiacchiera ovunque. Le strade per quanto forse più sporche di altre zone sono sicuramente più popolose di persone che le vivono e non sono di passaggio. Gli spazi sono usati in una modalità intensa. 

L’autosufficienza a cui tende questo insediamento risponde a una logica matrioska di “città nella città”. Non significa che Chinatown non sappia integrarsi e lavorare insieme al resto della struttura urbana anzi, analizzando le attività terziarie si creano diversi e molteplici gradi di interazione con la città milanese. Accanto al commercio con un target prevalentemente cinese si arriva a strutture cinesi per italiani. Le funzioni non vengono semplicemente sdoppiate – tra italiane e cinesi – ma proliferano uguali attività con differenti clienti: si giunge ad un’effettiva moltiplicazione. La gamma di attività proposte (alimentari, abbigliamento e accessori, estetica ed erboristerie, ristoranti e bar, tecnologia, oggettistica, agenzie pubblicitarie e immobiliari, …) aumenta l’utenza: non lavora come un ghetto chiuso solo per sé ma interessa anche il resto della città, innervando il quartiere di una vera e propria geografia del commercio.

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4. «Negli scenari più pessimisti elaborati dal Pentagono, quando due anni fa l’Esercito Popolare di Liberazione centrò in pieno un proprio satellite in un test di guerre stellari, fu detto che la conquista dello spazio sarebbe stata la prossima sfida tra l’America e la Cina. Nessuno aveva messo in conto quello che sta accadendo da due settimane: l’improvviso gelo tra i soci del G2 per il controllo del cyber-spazio.» 

[F. Rampini, Perché il potere ha paura, in la Repubblica.it]

Se la Chinatown romana ispira gli ambiti letterari, come il libro Cinacittà di Tommaso Pincio, quella milanese può vantare una grande costruzione mediatica alle proprie spalle. Le varie associazioni, tra cui Associazione liberi esercenti Sarpi, con i rispettivi siti come “viapaolosarpi.com”, “vivisarpi.it”, “cantieresarpi.it”, ad esempio, allontanano l’idea di un’area di scontri e incomprensioni, quanto piuttosto dimostrano un’organizzazione e sovrastruttura che, se osservate doverosamente, svelano la duplice nazionalità e una fattiva accettazione della “cinesità” dell’area.  

Il famoso capodanno cinese, le illuminazioni natalizie che fino a qualche hanno fà vedevano accendere numerose lanterne rosse sulla via, e la più recente manifestazione del “Carrellino d’oro” sono esempi di come la componente cinese sia entrata nell’immaginario collettivo diventando la normalità. Promosso da Do-knit-yourself nel periodo del Salone del mobile la via vede riallestite le vetrine dei negozi, cinesi e italiani, da diversi designer. 

Via Paolo Sarpi acquisisce una sua dimensione nell’immaginario urbano al di là di quello che è stato precedentemente, proprio grazie alla forte impronta che l’immigrazione cinese ha saputo dare. Questa ha lavorato come collante all’interno del tessuto. Nel prodotto, e nel commercio di questo, risiede l’avamposto di contatto tra le due culture, che sembrano trovare nelle proprie differenze una definitiva e pacifica convivenza nella città sino-milanese. 

Milano, 29 aprile 2010